La sentenza con la quale ieri la Corte d'Appello federale del Nono Circuito degli Stati Uniti, a maggioranza (due giudici su tre), ha confermato la decisione con la quale in primo grado il tribunale federale di San Francisco nell'agosto del 2010 aveva decretato la incostituzionalità del divieto di nozze gay in California, rappresenta un nuovo capitolo di una lunga e tormentata vicenda; e non è detto che sia esattamente il tipo di vittoria cui puntava chi ieri è uscito ufficialmente vincitore da questo ennesimo match. Tutto era comincato nel 2000, quando gli elettori californiani (maggioranza del 61%, quindi anche molti elettori democratici) avevano approvato -un primo referendum propositivo (“Proposition 22”) che definiva il matrimonio “unione fra un uomo e una donna”. Dopo qualche anno il parlamento della California aveva tentato di ribaltare quel voto, approvando una legge che ridefiniva il matrimonio come “contratto di diritto civile tra due persone”; ma il governatore Arnold Schwarzenegger aveva esercitato il suo potere di veto, annullandola. Poi, nel giugno del 2008 la Corte Suprema della California aveva annullato come incostituzionale (rispetto alla Costituzione californiana) la legge approvata dagli elettori con il referendum del 2000, aprendo la strada ai matrimoni omosessuali nel Golden State.
Il movimento che si oppone al riconoscimento delle nozze gay aveva rilanciato nel novembre 2008, mettendo ai voti, il giorno dell’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca, un nuovo referendum, il “Proposition 8”, che proponeva di reintrodurre la stessa norma approvata nel 2000 ma stavolta non con una semplice legge, bensì con un emendamento alla Costituzione dello Stato, così che i giudici non avrebbero più potuto rimetterla in discussione. Questo nuovo referendum era stato approvato con una maggioranza del 52%, eliminando nuovamente il matrimonio gay californiano (fermi restando però i circa diciottomila matrimoni celebrati nel semestre che era trascorso tra la sentenza e l’approvazione del referendum).
Infine, nel maggio del 2009 una coppia lesbica - dando il via ad una operazione accuratamente pianificata, che punta dritto dritto alla Corte Suprema di Washington - ha aperto l'ultimo fronte giudiziario, impugnando davanti al Tribunale federale di San Francisco il rifiuto della contea di trascrivere il loro matrimonio. La causa è patrocinata da un collegio legale a capo del quale è stato ingaggiato un celebre avvocato conservatore, Ted Olson, che aveva lavorato per Reagan e per George W. Bush. La sentenza favorevole, giunta nell'agosto del 2010, ha riconosciuto che il divieto di nozze gay non può stare nella Costituzione della California perché è in contrasto con la Costituzione degli Stati Uniti. Se venisse confermata dalla Corte Suprema di Washington, questa decisione porterebbe ad imporre il riconoscimento dei matrimoni omosessuali in tutti i cinquanta Stati dell'Unione. Oggi invece è riconosciuto solo in sei: era partito il Vermont nel 2000, quando era governato da Howard Dean; seguirono Massachusetts, Connecticut, Iowa, New Hampshire, ed infine si è aggiunto nel giugno dell'anno scorso lo Stato di New York (il terzo stato più popoloso degli USA), approvando la proposta del governatore Andrew Cuomo (italoamericano, cattolico, divorziato), che per questo è divenuto la superstar dell'ala piùliberal del Partito Democratico, ed ha destato le ire del vescovo Timoty Dolan, che è anche a capo della Conferenza Episcopale statunitense
Nel frattempo le nozze gay erano state sottoposte a referendum in ben 31 dei 50 Stati (incluso il caso della California, ma anche la Florida e lo stesso Stato di New York), ed in tutti i 31 casi, dal primo all'ultimo, gli elettori avevano votato contro. Sei Stati, però, hanno riconosciuto le unioni civili, pur senza equipararle al 100% ai matrimoni: l'ultimo è stato il Delaware, nel maggio dell'anno scorso, ma tra essi vi è proprio la California, dove si chiamano “Domestic Partnership”. In una dozzina di Stati, tra i quali New York, la Florida e la stessa California, le coppie omosessuali hanno la la possibilità di adottare figli.
Mai come ora per i repubblicani l'opposizione ai metrimoni omosessuali è un vero e proprio cavallo di battaglia: a parte l'"eretico" libertario Ron Paul, tutti gli altri aspiranti candidati in lizza nelle primarie sono contrarissimi e promettono barricate se eletti alla Casa Bianca.
Quanto a Barack Obama, egli ha lungamente tentato di tenersi il più possibile alla larga da questo scottante argomento. Nel 2008, da candidato, Obama aveva condanna come “discriminatorio” il referendum "Proposition 8", ma si era detto “personalmente” più favorevole al compromesso del riconoscimento delle unioni civili. Recentemente però ha dichiarato che la sua posizione in materia è "in evoluzione"; la sua amministrazione ha fatto decadere il regolamento "don't ask, don't tell" che imponeva ai gay di non dichiararsi per potersi arruolare nell'esercito, ed ha cessato di sostenere nei tribunali la difesa del “Defense of Marriage Act”, la legge approvata nel 1996 che garantiva agli Stati nei quali non esiste il matrimonio omosessuale il diritto di non riconoscere la validità di quelli celebrati in un'altro Stato che invece li contempli. La sentenza californiana di ieri, comunque, se letta con cura rappresenta una vittoria piuttosto "fredda" per il movimento che si batte per il riconoscimento dei matrimoni omosessuali in tutti i 50 Stati. La motivazione espressa dalla Corte d'Appello, infatti, è diversa da quella formulata in primo grado, e circoscrive la questione al caso specifico del Golden State. La incostituzionalità del "Proposition 8", infatti, è stata confermata non sentenziando che nessuna legge può in alcun modo ostacolare l'accesso degli omosessuali all'istituto del matrimonio (come invece era stato fatto in primo grado), ma solo censurando il fatto che in questo caso specifico la norma introdotta dal referendum aveva privato immotivatamente ed ingiustificatamente una minoranza di un diritto civile che in precedenza le era stato riconosciuto dalla legge, e che invece agli altri è tutt'ora riconosciuto. Questa nuova motivazione, quindi, circoscrive la questione alla specifica vicenda californiana, e paradossalmente non agevola affatto l'approdo della vertenza davanti alla Corte Suprema di Washington. Saranno ora gli oppositori delle nozze gay, nel decidere se impugnare o no questa nuova sentenza, a determinare se la partita si chiude qui o se invece avrà un terzo round di portata nazionale.