Ovviamente la notizia non è la vittoria di Mitt Romney nella primaria della Florida. Si tratta di una vittoria che pareva tutt'altro che scontata all'indomani del voto in South Carolina, che aveva improvvisamente riaperto la partita, ma che era divenuta del tutto scontata leggendo i sondaggi degli ultimi giorni. Nonostante l'appoggio di Sarah Palin, di Herman Cain e di tutto quel che c'era da racimolare dell'ala ostile all'establishment del partito, era evidente, da qualche giorno, che Gingrich avrebbe fallito nell'impresa di bissare il trionfo della precedente votazione. La notizia, quindi, sta tutta nella misura di questa vittoria annunciata.
Intendiamoci: tecnicamente a Romney bastava vincere anche di un solo voto per incamerare i 50 delegati del Sunshine State alla convention nazionale (che si terrà proprio lì, ad agosto), perché la Florida è uno dei pochi Stati a non aver abbandonato il sistema winner-take-all, il maggioritario secco che assegna tutti i delegati al candidato più votato. (A proposito: i delegati in palio ieri sarebbero stati la bellezza di 99, ma sono stati dimezzati a 50 per sanzionare la decisione del partito repubblicano della Florida di tenere la primaria prima di febbraio, contravvenendo le indicazioni del comitato nazionale del partito che da anni lotta contro le votazioni troppo precoci. Comunque anche 50 delegati in un colpo solo sono tanti, e creano un distacco difficile da colmare).
Ma a prescindere dall'aritmetica, c'è la politica: la vittoria in Florida poteva generare un vortice politico tale da chiudere definitivamente la partita delle primarie nel suo complesso solo se abbastanza poderosa da far apparire Romney due spanne sopra tutti gli altri. In particolare, Romney sarebbe apparso una spanna sopra se avesse staccato Gingrich con un vantaggio “a due cifre”, e qui ci siamo abbondantemente (14 punti buoni); e sarebbe apparso due spanne sopra se i suoi voti avessero superato la somma di quelli di Gingrich e Santorum, facendolo apparire davanti a “i conservatori”: è successo, anche se di pochissimo – Romney ha preso poco più del 46%, il vecchio Newt quasi il 32% e Santorum poco più del 13, quindi questa sfida è vinta ma di circa un solo punto percentuale.
E adesso? Adesso, per tre settimane continuative non è in programma alcun dibattito televisivo, e non ci sarà nessuna altra primaria - solo un paio dicaucus (anzi: ci sarà la primaria del Missouri, per la quale però il vecchio Newt non si è nemmeno qualificato). Romney ha quindi comodamente a sua disposizione tutto il mese di febbraio per consolidare al meglio la sua immagine vincente di uomo solo al comando, e di unico vero sfidante di Obama.
Dopodiché si va al “supermartedì”, il voto simultaneo del 6 marzo nelle primarie di dieci Stati diversi. E' vero che in astratto quel voto assegna molti più delegati di quelli che si sono assegnati con le votazioni din gennaio, e quindi in teoria potrebbe anche ribaltare la situazione attuale; è vero che molti di quelli in cui si vota il 6 marzo sono Stati del Sud, dove Romney gioca fuori casa; è vero che includono la Georgia di Gingrich e l'Alaska della Palin; ma tutte queste circostanze sono superate dal fatto che da oggi Romney risulta vincente come non era mai stato, e molti elettori indecisi o a lui blandamente ostili sono naturalmente destinati ad allinearsi, così come - attenzione - i finanziatori (oltretutto in tutti i 10 Stati del supertuesday i delegati si assegnano con il sistema proporzionale, quindi Mitt può farne incetta anche arrivando secondo in molti Stati).
L'unica vera incognita di febbraio, quindi, è se il fronte anti-Mitt possa compattarsi con il ritiro di uno dei due fra Gingrich e Santorum. Quello sì potrebbe essere un nuovo game-changer. Ad oggi però pare proprio che non accadrà, e quindi il frontrunner dorme sonni tranquilli. Domani, chissà.
Uscito su Good Morning America
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