Questa storia di Barack Obama che si entusiasma per l'anti-declinismo del neoconservatore Bob Kagan, sfidando sfacciatamente il fatto che si tratti di un consigliere del suo aspirante sfidante Mitt Romney (ne avete letto quidieci giorni fa), proprio non va giù ai teorici dell' "era post-americana" che un tempo si consideravano i teorici della visione obamiana del mondo. Una settimana fa il principale "scaricato", Fareed Zakaria, è insorto sulle pagine del Washington Post, lanciando i suoi strali direttamente contro Romney in forma di lettera aperta ("Il mondo è cambiato, Signor Romney"). Questa settimana lo ha raggiunto Charles Kupchan.
Politologo del Council of Foreign Relations, docente alla Georgetown University, consigliere della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton, suola liberal-realista come Zakaria, Kupchan - che nel 2008 ha dato alla candidatura di Obama un endorsement al limite della crisi mistica - dieci anni or sono aveva scritto un saggio dall'eloquente titolo "La fine dell'era americana", nel quale teorizzava l'avvento di una sorta di scontro di civiltà tra l'obsoleta superpotenza statunitense e l'emergente sfidante destinato a soppiantarla, rappresentato (a rileggerlo oggi fa sorridere, e lui stesso oggi si è disilluso) dall'Unione Europea. Ebbene: quattro giorni fa Kupchan (che peraltro ieri era intervistato da mario Platero su America24 sulle relazioni Italia-USA) ha messo i piedi nel piatto con un saggio pubblicato da Foreign Policy con il titolo "Mi spiace, Mitt: non sarà un secolo americano", nel quale, imitando Zakaria, si rivolge anch'egli direttamente contro il frontrunner repubblicano, criticando come una cialtroneria l'idea che ci si possa ancora ostinare a rivendicare la leadership globale americana, che ormai è superata dai fatti: "Il PIL della Cina raggiungerà quello dell'America nel corso del prossimo decennio. La Banca Mondiale prevede che il dollaro, l'euro e il renminbi cinese verranno equiparati in un sistema monetario "multi valuta" entro il 2025. La Goldman Sachs si aspetta che la somma dei PIL dei principali quattro paesi in via di sviluppo - Brasile, Cina, India, e Russia - eguagli quella dei paesi del G-7 entro il 2032"... E quindi occorre "adattarsi all'ascesa degli "altri", aggiungendo posto a tavola per i nuovi arrivati". In definitiva, secondo Kupchan Obama non deve temere l'accusa che Romney gli muove di essere un presidente "post-americano", ed anzi deve raccogliere la sfida di questo dibattito "e non lasciare che i suoi avversari si nascondono dietro il velo dell'eccezionalismo americano".
Il giorno dopo, l'articolo di Kupchan è stato criticato sempre su Foreign Policy dal suo collega conservatore Will Inboden, il quale ha così sintetizzato la disparità di vedute tra Obama e i repubblicani nella diatriba sul "declino americano": "L'uno e gli altri concordano nel constatare che le dinamiche di potere globali si stanno spostando. Solo che il presidente Obama, quanto meno nell'analisi Kupchan, vede questi spostamenti come una ragione per rivedere la leadership americana, mentre Romney e molti altri repubblicani vedono i cambiamenti come un'opportunità per rilanciare una nuova leadership americana nel dar forma al nuovo ordine emergente".
Qui da noi il giorno stesso sul Foglio (che nel 2003 aveva pubblicato a puntate tutto il saggio "Paradiso e potere" di Kagan, e negli scorsi giorni ha fatto altrettanto con la traduzione del suo nuovo saggio per il quale Obama ha mostrato tanto apprezzamento) è uscito un lungo editoriale del direttore Giuliano Ferrara, nel quale si imputa ad Obama l'errore diametralmente opposto: quello di sposare le tesi di kagan solo a parole, e assieme ad altre di tutt'altro segno, in modo da confondere le acque in vista della campagna elettorale. "Se il grande bluff" - scrive Ferrara - sarà chiamato in modo convincente da un candidato repubblicano compos sui, magari Romney, possiamo forse sperare in una svolta nel segno della chiarezza delle scelte".
Una cosa è certa: la diatriba non finisce qui.
uscito su Good Morning America
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