Il 18 novembre del 2008, ad un paio di settimane dall'elezione di Barack Obama, Mitt Romney fece quella che si può considerare la sua primissima mossa in vista della sua potenziale candidatura alle primarie del 2012: uscì con un corsivo sul New York Times contro gli aiuti di Stato alle industrie automobilistiche in crisi. Titolo: "Lasciate fallire Detroit". Rivendicando il fatto di essere nato e cresciuto a Detroit e di essere il figlio di quel George Romney che non solo fu governatore del Michigan, ma fu anche un manager dell'industria automobilistica, Mitt proponeva l'"amministrazione controllata" come alternativa al bailout, il salvataggio con i sussidi governativi. L'amministrazioen controllata non è esattamente il fallimento puro e semplice, ma è pur sempre qualcosa che ci va molto vicino - e comunque contiene quella parola terribile, bankruptcy, destinata a restare e a pesare. Romney non stava dicendo una sciocchezza. In linea di principio aveva ottime ragioni, soprattutto per un sostenitore del libero mercato; molti tra i repubblicani erano contrari, del resto. Ma lui aveva ambizioni presidenziali, e con il senno di poi era forse il caso di usare maggiore cautela, soprattutto nei toni.
Sappiamo come è andata: Chrysler e General Motors grazie agli 81 miliardi di dollari elargiti dal governo hanno evitato il fallimento e sono tornate a produrre e ad assumere. Di certo non era l'unica soluzione possibile: lo dimostra il caso della Ford, che non ha fatto ricorso ai sussidi pubblici ed è altrettanto in buona salute. Ai contribuenti americani operazioni come quella Chrysler-Fiat sono costate uno sproposito e forse con tutti quei soldi si poteva fare di meglio; ma è andata così, e ora agli elettori di Motor City vallo a spiegare che era meglio il "fallimento".
Nell'agosto del 2010 Obama, affiancato da Sergio Marchionne, tenne un comizio presso lo stabilimento di Jefferson North (appena fuori Detroit) della Chrysler. Parlando agli operai scampati al licenziamento, e rivendicando il fatto che nel settore dell'auto erano riprese le assunzioni (che peraltro, lo ripeto, erano riprese anche presso la Ford, che pure non aveva attinto al “salvataggio” statale; ma agli operai della Chrysler e della GM questo giocoforza non importa granché), il presidente volle “ricordare che se al governo fosse andata certa gente, tutto ciò non sarebbe accaduto. Questa fabbrica, ed il vostro posto di lavoro, oggi forse non esisterebbero”. Pochi giorni dopo l'Economist, che nel 2008 aveva deprecato il bailout con argomenti simili a quelli di Romney, porse al presidente delle scuse. Negli scorsi giorni le polemiche sullo spot "Halftime in America" con Clint Eastwood hanno dato la misura di come questa storia peserà sulle prossime elezioni, e di quanto per i repubblicani sarà difficile maneggiare la questione senza passare da disfattisti. Per un repubblicano più che per altri, però: Romney non può permettersi di perdere la primaria del Michigan del 28 febbraio, e visti i pessimi sondaggi di questi giorni deve correre ai ripari.
Ieri è uscito su un quotidiano locale, il Detroit News, un suo corsivo con il quale ha cercato di giustificare, senza rimangiarsela, la sortita del "Lasciate fallire Detroit": rivendicato ancora una volta il fatto di essere "figlio" della città più colpita dalla crisi, ha sfidato il governo a cessare la propria partecipazione in General Motors acquisita con il salvataggio (i repubblicani da sempre polemizzano contro questa "partecipazione statale" in stile seurosocialdemocratico, ironizzando sulla "Government Motors"), e soprattuto ha cercato di spiegare che i posti di lavoro si sarebbero potuti salvare anche con l'amministrazione controllata, che le grandi industrie automobilistiche in crisi sarebbero state chiuse per poi subito riaprirle più forti e dinamiche di prima, senza addossare tutta quella spesa ai contribuenti e senza fare tutti quei favori clientelari al sindatcato, grande elettore di Barack Obama.Ma la spiegazione è complicata e lascia il tempo che trova: quello che resta, nella testa della gente, è quella frase, che resta uno slogan "tossico" da usare contro di lui. Già a novembre il Partito Democratico ci aveva cucinato due spot: questo
Ieri è uscito su un quotidiano locale, il Detroit News, un suo corsivo con il quale ha cercato di giustificare, senza rimangiarsela, la sortita del "Lasciate fallire Detroit": rivendicato ancora una volta il fatto di essere "figlio" della città più colpita dalla crisi, ha sfidato il governo a cessare la propria partecipazione in General Motors acquisita con il salvataggio (i repubblicani da sempre polemizzano contro questa "partecipazione statale" in stile seurosocialdemocratico, ironizzando sulla "Government Motors"), e soprattuto ha cercato di spiegare che i posti di lavoro si sarebbero potuti salvare anche con l'amministrazione controllata, che le grandi industrie automobilistiche in crisi sarebbero state chiuse per poi subito riaprirle più forti e dinamiche di prima, senza addossare tutta quella spesa ai contribuenti e senza fare tutti quei favori clientelari al sindatcato, grande elettore di Barack Obama.Ma la spiegazione è complicata e lascia il tempo che trova: quello che resta, nella testa della gente, è quella frase, che resta uno slogan "tossico" da usare contro di lui. Già a novembre il Partito Democratico ci aveva cucinato due spot: questo
e questo
A proposito di spot: sempre ieri è uscito il primo a sostegno di Romney in vista del voto in Michigan. Non è uno spot negativo contro Rick santorum; è uno spot biografico su Mitt, intimista, minimalista. Il titolo, "growing up", è anche quello di una canzone del Bruce Springsteen dei tempi migliori.
Eccolo:
Uscito su Good Morning America
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