mercoledì 29 febbraio 2012

ROMNEY VICINO ALLA CANDIDATURA - E OBAMA ALLA RIELEZIONE


“Una buona serata per Romney – e anche per Obama”: così titola il suo commento sornione John Cassidy del New Yorker. Nel senso che se Romney ieri sera avesse perso in Michigan, l'ipotesi della discesa in campo in extremis di un deus ex machina del genere Jeb Bush avrebbe cessato di appartenere al mondo della fantapolitica ed avrebbe assunto una certa verosimiglianza. La vittoria di Romney, per risicata e sofferta che sia, sgombra il campo da questo scenario “ingestibile”, e regala alla Casa Bianca la serenità di potersi organizzare rispetto alle altre due ipotesi in campo, nessuna delle quali toglie il sonno al Presidente: 
Da oggi è praticamente certo che i repubblicani si beccheranno o un candidato malconcio, il cui indice di gradimento tra gli elettori indipendenti è precipitato di quasi 20 punti percentuali negli ultimi due mesi (Romney); o tutt'al più - meno probabile ma ancora non completamente escluso – con un perdente garantito (Santorum).
In effetti per Mitt il freddo questa vittoria significa aver evitato una catastrofe, ma nulla di più: era un “do or die”, un “make or break”, una questione di sopravvivenza; ed è sopravvissuto. Punto. Difficile credere che una vittoria tormentata e sudata come quella di ieri sera (pur giocando “in casa”, ha dovuto spendere in propaganda più del doppio del suo avversario) possa fruttare a Romney – che non è riuscito a far scaturire alcun “momentum” nemmeno da quella assolutamente trionfale in Florida di un mese fa – quella immagine vincente e convincente, quella capacità di appassionare un minimo gli elettori che sino ad oggi ha dimostrato di non possedere. Ne esce molto più sulla difensiva di com'era partito, e questo in termini di immagine non può che nuocergli. Il politologo Larry Sabato parla addirittura di “vittoria morale” di Santorum, e probabilmente un po' esagera; qualcosa di vero però c'è.

Non sono solo i sondaggi a dare questa sensazione. Se si esaminano i bilanci dei rispettivi comitati elettorali, si nota che nel 2011 Romney ha raccolto molti più finanziamenti dei suoi avversarti, ma che solo il 10% consiste in piccole donazioni (si considerano tali quelle che non superano i 200 dollari), mentre sia Santorum, Gingrich e Paul, sia lo stesso Barack Obama, hanno attinto da queste piccole donazioni circa metà dei rispettivi finanziamenti. La capacità di ottenere donazioni dai cosiddetti “small-dollar supporters” va di pari passo con la capacità di connettersi emotivamente con l'uomo comune, con l'americano medio, e soprattutto con quel ceto medio e medio-basso che sino ad ora si mantiene diffidente nei confronti dell'aristocratico miliardario bostoniano.
Ad ogni modo, il match di ieri non ha lasciato morti sul campo. Il prossimo si disputa fra sei giorni: si tratta del cosiddetto “supermartedì”, che vede accorpati undici Stati in cui si vota simultaneamente. Nel più importante, l'Ohio – che da solo assegna più delegati di Michigan e Arizona messi assieme - i sondaggi oggi danno in netto vantaggio Santorum. La campagna elettorale, quindi, si sposta ancora una volta lì, nel cuore del MidWest dilaniato dalla crisi economica.

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