Detto fra noi: la promessa di Newt Gingrich di realizzare, se eletto presidente, una base lunare americana (che ieri segnalavo qui tra i morning must) non è la sparata da scolapasta in testa che molti giornalisti hanno voluto vedere. Questo tipo di uscite è normale quando si fa campagna elettorale in Florida, sulla cosiddetta Space Coast dove la NASA è il datore di lavoro di tantissime famiglie. Ciò nondimeno, l'argomento è talmente pittoresco che i giornalisti sono sempre tentati di buttarla in farsa. Nel giugno del 2008 il candidato repubblicano alla Casa Bianca John McCain, intervistato dal direttore di un quotidiano della Florida (appunto) si disse intenzionato, se eletto, a mandare un uomo su Marte. "Non ha precisato se quell'uomo sarà il senatore Barack Obama", ghignò Robert Barnes del Washington Post. In realtà neanche quella volta si trattava di una stravaganza: alla NASA tirava aria di tagli pesanti, e i voti di chi ci avrebbe rimesso erano su piazza.
E in effetti poco dopo l'elezione di Obama venne definanziato il “Programma Constellation”, cioé la pianificazione dell'attività della NASA così come stabilita dall'amministrazione Bush nel 2005, che prevedeva la missione su Marte ed anche – pensa un po' – la creazione di una base lunare entro il 2020 (proprio la scadenza del “secondo mandato” vagheggiato dall'incauto Gingrich).
Di lì a un anno però, siccome senza vincere nel Sunshine State non si viene eletti (né rieletti) alla Casa Bianca, Obama, bersagliato da proteste e petizioni (tra i firmatari anche il mitico astronauta Neil Armstrong, quello del piccolo passo eccetera), fece dietrofront ed annunciò, in un comizio al Kennedy Space Center in Florida (appunto) in occasione del decollo del'ultima missione dello Shuttle, l'intenzione di spedire astronauti americani su Marte entro il 2030. Ecco quindi un nuovo piano spaziale per il quale Obama ha esibito agli elettori lo stanziameto di sei miliardi di dollari, con creazione di nuovi 2.500 posti di lavoro. Promessa che il Presidente ha ribadito nel luglio dell'anno scorso, e che potremmo sentire nuovamente entro pochi mesi, in campagna elettorale.
Perché poi l'estroso Gingrich abbia deciso di parlare della missione lunare anziché di quella marziana, non è chiaro. Potrebbe semplicemente aver voluto differenziarsi dal Presidente; oppure potrebbe aver voluto giocare sul fatto che il programma marziano è talmente di lungo periodo che per ora non interessa la base NASA della Florida, dove si fanno i lanci, ma quella di Huntsville, nel nord dell' Alabama (per gli amici Rocket City), dove si lavora alla progettazione e alla realizzazione dei componenti.
Nel dibattito televisivo di ieri sera a Jacksonville l'argomento è stato puntualmente riproposto. Il vecchio Newt l'ha riformulato in versione più adatta alla platea nazionale: “voglio che ci arriviamo prima noi dei cinesi” (esattamente lo stesso tipo di suggestione usata da Obama nel discorso sullo Stato dell'Unione dell'anno scorso, quello in cui rievocò il “momento Sputnik” per rendere l'idea del suo nuovo slogan “win the future”, vincere la sfida del futuro, che per la verità sembra poi essersi perso per strada).
Romney se l'ègiocata veramente bene. Ha controbattuto mettendola sul piano della spesa: "io ho lavorato per 25 anni nel mondo degli affari. Se un manager fosse venuto da me e mi avesse detto che voleva spendere qualche miliardo di dollari per stabilire una colonia lunare, gli avrei detto: sei licenziato". E ha aggiunto, strappando l'applauso: "Questa idea di andare di Stato in Stato e promettere alla gente quello che lì la gente vorrebbe sentirsi dire, promettere miliardi, centinaia di miliardi di dollari per far felice la gente, è proprio questo che ci ha cacciati nei guai in cui ci troviamo ora".
Scacco matto?
Uscito su Good Morning America
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