"No, allora non mi candido.
Che dite, mi candido?
Mi si nota di più se aspetto ma faccio capire che forse sarei disponibile a candidarmi, o se non mi candido per niente?
Faccio un comizio. Faccio un comizio e mi faccio vedere, così, come se avessi deciso di candidarmi, su Fox News, in diretta dalla Reagan Library. Voi mi fate "Chris vieni candidati con gli altri, dai"; ed io: "lasciate, lasciate che vadano avanti loro, io magari li raggiungo dopo".
Mi candido, ci vediamo in New Hampshire.
No, non mi va, non mi candido - no".
Non ho resistito alla tentazione di parafrasare Nanni Moretti di fronte alla pantomima inscenata dal carismatico governatore "extralarge" del New Jersey Chris Christie, il quale ha volutamente riattizzato, con il suo comizio dell'altra sera alla Reagan Library, la leggenda di un suo ingresso più che tardivo nelle primarie repubblicane.
Un teatrino, della serie "ho-detto-che-non-mi-candido-ma-chiedetemolo-ancora-che-non-si-sa-mai", con il quale Christie non si limita a coltivare saggiamente la propria popolarità e visibilità.
E' vero che quanto a "stile", il governatore dello Stato natìo di Bruce Springsteen (di cui è un appassionato fan) è decisamente antitetico a Romney, e simile a Perry: pane al pane e vino al vino, ruvido quando serve, abbastanza schietto e diretto da apparire sempre sincero, energico e positivo ma anche ragionevolmente aggressivo perché passionale.
Ed è anche vero che sta tanto simpatico ai Tea Party, e a tribuni ultraconservatori come Rush Limbaugh ed Ann Coulter, non lo deve solo a questo: c'è anche della sostanza, la sua battaglia per tagliare la spesa di uno Stato devastato dal deficit, e la sua battaglia reaganiana contro i sindacati.
Ma nonostante queste battaglie, ed anzi a maggior ragione per controbilanciarle, egli rimane pur sempre - come fu Romney, ed al contrario di Perry - il governatore repubblicano di un feudo democratico, e quindi nel complesso la sua linea politica (sulla diffusione delle armi, sui diritti delle coppie gay, sull'immigrazione...) è quella di un moderato, di un centrista e di un pragmatico. Se si trascura questo fatto, ci si espone ad infiniti equivoci.
E' vero che quanto a "stile", il governatore dello Stato natìo di Bruce Springsteen (di cui è un appassionato fan) è decisamente antitetico a Romney, e simile a Perry: pane al pane e vino al vino, ruvido quando serve, abbastanza schietto e diretto da apparire sempre sincero, energico e positivo ma anche ragionevolmente aggressivo perché passionale.
Ed è anche vero che sta tanto simpatico ai Tea Party, e a tribuni ultraconservatori come Rush Limbaugh ed Ann Coulter, non lo deve solo a questo: c'è anche della sostanza, la sua battaglia per tagliare la spesa di uno Stato devastato dal deficit, e la sua battaglia reaganiana contro i sindacati.
Ma nonostante queste battaglie, ed anzi a maggior ragione per controbilanciarle, egli rimane pur sempre - come fu Romney, ed al contrario di Perry - il governatore repubblicano di un feudo democratico, e quindi nel complesso la sua linea politica (sulla diffusione delle armi, sui diritti delle coppie gay, sull'immigrazione...) è quella di un moderato, di un centrista e di un pragmatico. Se si trascura questo fatto, ci si espone ad infiniti equivoci.
Il sondaggio più negativo per Rick Perry tra quelli pubblicati dopo la sua discesa in campo, ossia quello di FoxNews condotto dopo lo stallo dell'ultimo dibattito in Florida ed uscito poche ore fa, dice che da agosto Perry sarebbe crollato di dieci punti percentuali; ma dice anche che, nonostante ciò, Romney sarebbe cresciuto di un solo punto. Niente vasi comunicanti, quindi: i delusi dalla performanche di Perry votano piuttosto per personaggi come Herman Cain (uscito eccentricamente vincitore dallo strawpoll di Orlando), o Newt Gingrich. Di adattarsi a Romney proprio non ne vogliono sapere.
Ma non è solo alla "base" che Romney non va giù. Oggi il New York Times racconta che la ingombrante presenza di Christie a bordocampo, suscitando aspettative di una candidatura establishmentarian più appetibile, sta trattenendo importanti finanziatori repubblicani dal firmare assegni per la campagna di Romney E ieri lo stesso quotidiano riferiva di un gruppo di pezzi grossi intenti a finanziare la "mossa" di Christie.
Se a questo aggiungiamo i ragionamenti che Andrea Salvadore ha egregiamente sintetizzato sul contributo di un protagonista dell'establishment repubblicano come il boss di Fox News Richard Ailes, il quadro è abbastanza chiaro: Christie non si candiderà, ma il suo protagonismo è un diversivo che nuoce soprattutto a Romney, e rivela la fragilità della sua candidatura (considerato che essa è nata un secolo prima di quella di Perry).