Il pezzo della settimana è senza dubbio quello di Frank Rich uscito domenica sul sito del New York Magazine. Merita, non tanto per la tirata "contro la bipartisanship", quanto per la apocalittica profezia sulle prossime elezioni:
"Perry non è una faccenda della serie "lo svitato del giorno", tipo Michele Bachmann. E' un affare molto serio. Non è inverosimile che possa vincere la candidatura del suo partito e vincere in abbastanza Stati di quelli che ogni volta fanno da ago della bilancia con conteggio al cardiopalma da strappare la presidenza.
Ce la può fare, perché la congiuntura che viviamo è quella giusta per un politico come lui. Un Paese disperato ed arrabbiato ha di fronte una recessione "double dip" ed ha zero prospettive di ricevere aiuto da una Washington ormai defunta.
Tra i candidati in lizza, Perry è l'unico candidato efficace - stando al suo curriculum di governatore abile nell'organizzazione e nella raccolta di finanziamenti, ai suoi sondaggi e elle sue elezioni vinte senza fare prigionieri - che affermi da "falco" una alternativa senza mezzi termini a questo fallimenare status quo. [...]
Che Perry ce la faccia o no a centrare la posta in gioco finale, può comunque provocare uno shock al sistema paragonabile a quello di Barry Goldwater* nel 1964 - e sottovalutato quanto lo fu allora quello di Goldwater.
Nel suo capolavoro Before the Storm (2001) sulle origini e il trionfo della rivoluzione conservatrice, Rick Perlstein ricorda come all'epoca i grandi esperti di Washington pensavano che la sconfitta disastrosa di Goldwater avesse segnato la fine del suo movimento. James Reston, l'editorialista principe del New York Times, parlò a nome di tutti loro quando decretò che Goldwater aveva "mandato fuori strada il suo partito per un lungo tempo a venire, e non pare nemmeno che sapranno anche solo gestire l'uscita di strada". Ma come nota Perlstein, "in esito alle elezioni immediatamente successive, appena un paio d'anni dopo, i conservatori dominavano già il Congresso al punto tale che Lyndon Johnson non era nemmeno in grado di far stanziare i fondi per la derattizzazioni dei bassifondi". Quei prematuri necrologi per la destra, secondo Perlstein, rappresentarono "uno dei più gravi casi di errore di valutazione collettivo nella storia del giornalismo americano".
Quello che i giornalisti, da dentro la loro "bolla" di Washington, non seppero vedere era che il consenso trasversale a livello nazionale per la centralità dell'intervento statale - che aveva retto attraverso le amministrazioni Roosevelt, Truman, Eisenhower, Kennedy e Johnson - era kaputt. La Reagan revolution era lì dietro le quinte pronta ad entrare in scena.
Se Perry riesce ad ottenere la candidatura vincendo le primarie, può anche darsi che poi alle elezioni generali finisca a gambe all'aria, come Goldwater. E' questo il pronostico di tutti i Reston d'oggi. Ma potrebbe anche non andare così. Perry avrebbe da sfruttare lo scenario di una economia disastrata, al contrario di Goldwater che si candidò in tempi di boom con la disoccupazione inferiore al 6% e il PIL al 5,8 da un anno. Quale che sia il destino elettorale di Perry nel 2012, la sua ascesa-lampo è la prova definitiva, ove mai ve ne fosse bisogno in tempi in cui il Partito Repubblicano ruota attorno ai Tea Party, del fatto che oggi in America il consenso trasversale è impraticabile, così come lo era nel 1964".
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[*] Nota per i neofiti: Barry Goldwater, senatore dell'Arizona "a vita" da quando l'Arizona divenne uno Stato (alla sua morte gli succedette John McCain), fu lo sfidante repubblicano alle presidenziali del 1964, protagonista di un assalto alla baionetta contro il welfarismo kennedyano. Vinse le primarie repubblicane contro il governatore di New York, l'aristocratico ipercentrista Nelson Rockefeller, anche grazie ad un carisma condito di citazioni ad effetto (clebre il suo discorso di accettazione della candidatura, in cui, parafrasando Cicerone, proclamò: "vi ricordo che l'estremismo nella difesa della libertà non è un vizio, e la moderazione nella ricerca della giustizia non è una virtù"). L'elezione contro Lyndon Johnson la straperse, ce la fece solo in sei Stati su cinquanta e tutti marginali: un record negativo nella storia delle presidenziali. Ma al contempo gettò le basi di quell’alleanza anticomunista tra la destra “religiosa” e i libertari antistatalisti che costituì, con sedici anni di anticipo, la premessa della rimonta della quale si sarebbe reso protagonista, una generazione dopo, Ronald Reagan - il quale non a caso aveva esordito come militante repubblicano proprio nella campagna per Goldwater. Il commentatore del Washington Post George Will ha riassunto il concetto meglio di chiunque altro: «Goldwater le vinse le elezioni del 1964. Solo che ci vollero sedici anni per contare i voti».
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