Andrea Salvadore, immolandosi eroicamente, ieri sera ha rinunciato alla prima puntata del nuovo serial di J.J Abrams per sciropparsi il terzo dibattito delle pre-primarie repubblicane - quello di Orlando - e conferma l'impressione di "un duello Perry-Romney con una serie di irrilevanti valletti", anche se a lui non gli piace o' presepe (donde una coda sulle leggende di interventi ulteriori a primarie già iniziate, leggetela pure ma non credeteci, not gonna happen).
Anche su Nomfup troviamo conferma di un gioco ormai definitamente assestato in termini di "duello", anzi di "derby", con Hunstman relegato al frustrante ruolo di "testimone involontario" e la Bachmann sostanzialmente sparita (gli altri non pervenuti).
Tra i commentatori d'oltreoceano, stessa conferma: è una corsa a due, come qui avete potuto leggere e rileggere fin dal principio di questa stagione di dibattiti post-estivi.
Per il resto, non c'è che da prendere atto dell'esaurimento di questa primissima fase: Perry è frontrunner in tutti i sondaggi nazionali ma ha anche smesso di crescere, si è assestato e presto, se non vuole cominciare a calare, dovrà decidersi a scrivere il secondo capitolo di questa storia apertasi con il suo "botto" estivo; Romney, dal canto suo, continua ad essere molto più bravo di lui nei dibattiti ma questo, giustamente, non gli sta bastando, perché anche lui è fermo al suo personaggio iniziale, quello del candidato abbastanza asettico da evitare cazzate e vincere per inerzia grazie alla crisi di rigetto nei confronti di Obama.
Per questo motivo, e non per inettitudine dei candidati, il dabattito si sta facendo noioso, ripetitivo - sempre gli stessi battibecchi sui soliti quattro argomenti.
Quelli di The Politico, che nei confronti di Perry si sono mostrati sin da principio tutt'altro che simpatizzanti, oggi propongono un pastone di commenti di addetti ai lavori del tipo comincia a deludere, non è all'altezza, è impreparato, ecc. Un giudizio più equilibrato è quello di Michael Barone: evidenzia il divide tra uno come Perry che sta affrontando la sua prima campagna fuori dai confini del Texas e per di più essendoci entrato in extremis, e uno come Romney che non fa altro da quattro anni e quindi dibattiti come questo se li spara "con il pilota automatico".
Ne riparleremo fra almeno una settimana sondaggi alla mano; il punto, secono me, è però un altro.
La mia modestissima opinione è che in un futuro non remoto uno dei due dovrà decidersi a sganciarsi dalla narrativa tutta rabbia-frustrazione-paura-protesta e lanciare una campagna autenticamente reaganiana, cioé positiva, intrisa di fiducia e ottimismo.
Il prossimo dibattito è l'11 ottobre in New Hampshire: il tempo non manca, e il luogo sarebbe perfetto.
"Morning in America", l'ho detto e lo ripeto.
"Morning in America", l'ho detto e lo ripeto.
Per spiegarmi meglio, suggerisco la visione dello spot che ieri mattina Perry ha lanciato sul web in vista del dibattito
e di quello che sempre ieri mattina è stato lanciato Romney
a confronto con quella del mitico spot che riassumeva l'essenza della campagna Reagan 1984:
Ho reso l'idea?
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