"Ora come ora” rifletteva ieri su Twitter Ben Smith, il grande capo del cliccatissimo sito BuzzFeed, “il Team Obama e il Team Romney non conoscono molte più cose di noi. Conoscono molti dettagli, ma alla fin fine nemmeno loro sanno cosa diranno i sondaggi sull'Ohio venerdì prossimo, o lunedì”.
Già, l'Ohio: ancora l'Ohio, sempre l'Ohio. Del resto, poche ore prima il Wall Street Journal aveva definito “Un dibattito di politica estera per la Contea di Cuyahoga” l'ultimo duello televisivo tra Barack Obama e Mitt Romney, nel senso che “non si è trattato realmente di un dibattito sulla politica estera americana. Si è trattato di un dibattito per far cambiare idea agli elettori indecisi rimasti in posti come la Contea di Cuyahoga, in Ohio”.
La Contea di Cuyahoga esiste veramente. Essa include la fetta più importante dell'area metropolitana di Cleveland (nonché la cittadina di Parma, dove la settimana scorsa sono accorsi a fare assieme campagna elettorale per Obama le due superstar della sua squadra, Bill Clinton e Bruce Springsteen) ed è la più popolosa di questo Stato, cuore del MidWest arrugginito e deindustrializzato, che giorno dopo giorno, ora dopo ora, sembra sempre più destinato a divenire il fulcro di questa elezione presidenziali, come di molte altre in precedenza del resto.
Già, l'Ohio: ancora l'Ohio, sempre l'Ohio. Del resto, poche ore prima il Wall Street Journal aveva definito “Un dibattito di politica estera per la Contea di Cuyahoga” l'ultimo duello televisivo tra Barack Obama e Mitt Romney, nel senso che “non si è trattato realmente di un dibattito sulla politica estera americana. Si è trattato di un dibattito per far cambiare idea agli elettori indecisi rimasti in posti come la Contea di Cuyahoga, in Ohio”.
La Contea di Cuyahoga esiste veramente. Essa include la fetta più importante dell'area metropolitana di Cleveland (nonché la cittadina di Parma, dove la settimana scorsa sono accorsi a fare assieme campagna elettorale per Obama le due superstar della sua squadra, Bill Clinton e Bruce Springsteen) ed è la più popolosa di questo Stato, cuore del MidWest arrugginito e deindustrializzato, che giorno dopo giorno, ora dopo ora, sembra sempre più destinato a divenire il fulcro di questa elezione presidenziali, come di molte altre in precedenza del resto.
Il vantaggio di Obama in Ohio, che fino al primo dibattito televisivo con Romney era mediamente di oltre cinque punti percentuali (grosso modo lo stesso vantaggio con il quale Obama aveva battuto McCain in quello stato nel 2008 e anche lo stesso con il quale Bush vi aveva battuto Kerry nel 2004), durante il mese di ottobre si è eroso fino a scendere sotto i due punti. Ma anche se minimo è un vantaggio molto persistente: l'ultimo sondaggio in cui lo sfidante repubblicano risultava in vantaggio nel Buckeye State risale al 4-8 ottobre, all'indomani del dibattito di Denver.
Romney non è mai andato fortissimo in questo Stato: lo si è visto durante le primarie, quando a marzo per battere a stento Rick Santorum nel voto del “Super Tuesday” fece una settimana di campagna elettorale “a tappeto” tutta concentrata sulle grandi aree urbane di Cleveland, Columbus, Daytona-Cinccinnati: la mappa disegnata dall'esito di quel voto è impressionante, il voto per Romney è totalmente concentrato in quelle aree urbane che appaiono come delle enclave, mentre tutto l'Ohio rurale e “di provincia” aveva votato in blocco per Santorum che pure aveva speso appena un quarto in propaganda.
E ora, contro Obama non sembra vada molto meglio.
Innanzitutto il presidente incassa il consenso generato dagli aiuti governativi all'industria automobilistica, un settore nel quale l'Ohio è secondo solo al Michigan (producono lì sia la General Motors che la Chrysler e la Ford, ma anche la Honda; la massima concentrazione degli impianti è nella città di Toledo, che Obama menzionò nel suo ultimo Discorso sullo Stato dell'Unione affiancandola a Detroit e alla sua Chicago in un trittico di produttori di auto made in the Usa che, a suo dire, presto conquisteranno anche i mercati asiatici). Quegli aiuti, per intenderci, ai quali Romney si era fieramente opposto. Secondo Jim Messina, il campaign manager di Obama, in quello Stato appartiene all'industria automobilistica un posto di lavoro su otto. E il mese scorso la disoccupazione nelle zone centrali dell'Ohio è scesa sotto il 6%: il dato migliore dal maggio del 2008, ed uno dei più rosei degli Usa.
Oltre all'industria automobilistica in senso stretto, in Ohio è fondamentale anche quella collaterale e connessa degli pneumatici: sia la Goodyear che la Firestone nacquero qui nella medesima cittadina, Akron (nota anche come Rubber City, la città della gomma).
Per gli imprenditori e gli operai di questo specifico settore Obama è quasi un eroe, da quando nel settembre 2009 scatenò ed affrontò le ire di Pechino per aver imposto nuovi dazi triennali sulle importazioni di pneumatici cinesi per un totale di 1,8 miliardi di dollari, accogliendo le richieste del sindacato United Steelworkers; il governo cinese denunziò quella misura al WTO, ma il ricorso venne rigettato riconoscendo che gli Usa avevano agito per legittima difesa contro una operazione di concorrenza sleale sottocosto da parte dei cinesi (guarda caso, recentemente l'Amministrazione Obama ha a sua volta presentato un ricorso speculare contro i sussidi di Pechino all'industria dell'auto cinese). Nel dibattito di lunedì scorso Obama lo ha rivendicato a muso duro, ricordando agli elettori come Romney si sia opposto anche a quei dazi, il che è vero: nel suo libro elettorale “No Apology” egli boccia quella scelta come mirata a coltivare il bacino dei voti del sindacato a spese dei consumatori, che si sarebbero visti costretti a pagare prezzi “patriotticamente” più alti per i copertoni delle loro auto (“il protezionismo inibisce la competitività”, aggiunse).
Mancano ormai solo due settimane al voto e tutti sembrano dare sempre più per scontato che sia l'Ohio la pedina decisiva nella lotta per la conquista della Casa Bianca. Il sondaggiologo del New York Times Nate Silver ieri notava che se spesso quello che vuole l'Ohio come lo Stato “che elegge i presidenti” è solo un luogo comune, “quest'anno però tutti i cliché sull'Ohio sono veri. In tutte le nostre simulazioni più recenti, l'Ohio conferisce il voto decisivo al Collegio Elettorale in circa il 50% dei casi”.
Se perde in Ohio, Romney potrebbe in teoria vincere lo stesso, ma solo vincendo non solo in Stati dove gli ultimi sondaggi gli accreditano ottime chance come la Florida e il North Carolina, e in altri come Virginia e Colorado dove gli ultimi sondaggi lo danno perfettamente alla pari con Obama, ma anche in Iowa dove è indietro mediamente di un punto e mezzo, in Nevada dove è indietro mediamente di circa due punti, e in New Hampshire dove pure Obama gli sta avanti mediamente di circa due punti (l'alternativa è vincere nel Wisconsin di Paul Ryan, ma per ora lì Obama mantiene un vantaggio mediamente superiore ai tre punti).
Anche per Obama in teoria l'Ohio non è matematicamente un assoluto must-win, ma di fatto è come se lo fosse: il presidente è infatti ormai pressoché spacciato in North Carolina, e a meno che non riesca a riprendere quota in Florida, dove però da tempo Romney gli sta stabilmente avanti con un vantaggio medio di circa due punti percentuali, se perdesse in Ohio avrebbe bisogno di vincere non solo in Wisconsin, in Iowa e in Nevada, ma anche in Virginia, oppure in Colorado. Se invece vincerà in Ohio, come accadrebbe se si votasse stasera, a quel punto gli basterà aggiungere i 10 voti elettorali del Wisconsin ed è fatta, a quel punto Romney potrebbe anche vincere in tutti gli altri stati in bilico eppure anche così perderebbe l'elezione.
Per gli imprenditori e gli operai di questo specifico settore Obama è quasi un eroe, da quando nel settembre 2009 scatenò ed affrontò le ire di Pechino per aver imposto nuovi dazi triennali sulle importazioni di pneumatici cinesi per un totale di 1,8 miliardi di dollari, accogliendo le richieste del sindacato United Steelworkers; il governo cinese denunziò quella misura al WTO, ma il ricorso venne rigettato riconoscendo che gli Usa avevano agito per legittima difesa contro una operazione di concorrenza sleale sottocosto da parte dei cinesi (guarda caso, recentemente l'Amministrazione Obama ha a sua volta presentato un ricorso speculare contro i sussidi di Pechino all'industria dell'auto cinese). Nel dibattito di lunedì scorso Obama lo ha rivendicato a muso duro, ricordando agli elettori come Romney si sia opposto anche a quei dazi, il che è vero: nel suo libro elettorale “No Apology” egli boccia quella scelta come mirata a coltivare il bacino dei voti del sindacato a spese dei consumatori, che si sarebbero visti costretti a pagare prezzi “patriotticamente” più alti per i copertoni delle loro auto (“il protezionismo inibisce la competitività”, aggiunse).
Mancano ormai solo due settimane al voto e tutti sembrano dare sempre più per scontato che sia l'Ohio la pedina decisiva nella lotta per la conquista della Casa Bianca. Il sondaggiologo del New York Times Nate Silver ieri notava che se spesso quello che vuole l'Ohio come lo Stato “che elegge i presidenti” è solo un luogo comune, “quest'anno però tutti i cliché sull'Ohio sono veri. In tutte le nostre simulazioni più recenti, l'Ohio conferisce il voto decisivo al Collegio Elettorale in circa il 50% dei casi”.
Se perde in Ohio, Romney potrebbe in teoria vincere lo stesso, ma solo vincendo non solo in Stati dove gli ultimi sondaggi gli accreditano ottime chance come la Florida e il North Carolina, e in altri come Virginia e Colorado dove gli ultimi sondaggi lo danno perfettamente alla pari con Obama, ma anche in Iowa dove è indietro mediamente di un punto e mezzo, in Nevada dove è indietro mediamente di circa due punti, e in New Hampshire dove pure Obama gli sta avanti mediamente di circa due punti (l'alternativa è vincere nel Wisconsin di Paul Ryan, ma per ora lì Obama mantiene un vantaggio mediamente superiore ai tre punti).
Anche per Obama in teoria l'Ohio non è matematicamente un assoluto must-win, ma di fatto è come se lo fosse: il presidente è infatti ormai pressoché spacciato in North Carolina, e a meno che non riesca a riprendere quota in Florida, dove però da tempo Romney gli sta stabilmente avanti con un vantaggio medio di circa due punti percentuali, se perdesse in Ohio avrebbe bisogno di vincere non solo in Wisconsin, in Iowa e in Nevada, ma anche in Virginia, oppure in Colorado. Se invece vincerà in Ohio, come accadrebbe se si votasse stasera, a quel punto gli basterà aggiungere i 10 voti elettorali del Wisconsin ed è fatta, a quel punto Romney potrebbe anche vincere in tutti gli altri stati in bilico eppure anche così perderebbe l'elezione.
Uscito su Good Morning America
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