mercoledì 16 maggio 2012

CONTRORDINE: GLI AMERICANI NON VOGLIONO IL TERZO POLO

"L'irrefrenabile ascesa del terzo polo dell'america politica": così raccontò l'impresa di "Americans Elect" Angelo Aquaro dalle colonne de La Repubblica, parlando nientemeno che di "una rivoluzione: un vero e proprio movimento di pensiero, che dalla politica invade l'economia, la cultura, il comportamento quotidiano". Pur senza nascondere un certo scetticismo, saggiamente: perché l'idea di tenere delle "primarie alternative" solo su internet e piazzarsi sulla scheda elettorale delle elezioni presidenziali con l'obiettivo finale di metterci il nome di un candidato presidente (con relativo candidato vice) scelto "dalla gente" al di fuori del tradizionale sistema dei (due) partiti, era a dir poco ambiziosa. E se Mattia Ferraresi su Il Foglio parlò di "un'irrefrenabile voglia di terzo polo", dell'esigenza di rispondere alla domanda di "una fetta ultrapragmatica della pragmatica America", Massimo Gaggi sul Corriere della Sera si spese a spiegare che se all'apparenza quella di Americans Elect poteva sembrare un'operazione velleitaria, in realtà andava pur sempre considerato che "all' inizio anche quello dei «Tea Party» sembrava un movimento senza capo né coda. E «Americans Elect», nelle cui fila militano diversi ex professionisti della politica che hanno lavorato con personaggi come Hillary Clinton a Michael Bloomberg, si sta muovendo con furbizia e rapidità". 

Ma questo è davvero niente, a confronto degli abbagli che nel raccontare questo esperimento di candidatura presidenziale "alternativa" presero molti grandi nomi dell'opinionismo a stelle e strisce. "Fate largo al Centro Radicale", strombazzò sul New York Times Thomas Friedman (uno dei commentatori preferiti da Obama): quella di Americans Elect era una novità rivoluzionaria da tenere ben d'occhio, perché avrebbe potuto fare alla politica americana "Quello che Amazon ha fatto ai libri, che la blogosfera ha fatto ai giornali, che l'iPod ha fatto alla musica...". Stessi toni da parte di Nathan Daschle, che sul sito della CNN definì il sistema lanciato da Americans Elect "l'ITunes della politica": "I difensori dello status quo e quelli che traggono profitto dalla stasi del sistema delle opposte faziosità potranno anche pisciarci sopra, su questa idea; ma questi critici non colgono nel segno. Il punto non è se Americans Elect è in grado di vincere la sfida per la Casa Bianca nel 2012. Il punto è cambiare il modo in cui eleggiamo i nostri leader, con un reale consenso da parte dei governati". 
Ieri l'irriverente sito BuzzFeed ha proposto una spietata antologia di sette di queste ottimistiche analisi sull'esperimento di Americans Elect. Lette ora hanno un sapore particolarmente amarognolo visto che ieri, per l'appunto, si è appreso che i terzisti di Americans Elect, pur essendo riusciti a qualificarsi per stare sulla scheda elettorale in 27 dei 50 Stati (più di quelli nei quali parteciperà all'elezione il Green Party, i "verdi" americani), non saranno in grado di presentare il tanto strombazzato ticket presidenziale "nè repubblicano nè democratico", perché nessun candidato ha raggiunto i consensi minimi richiesti dalla stessa associazione AE per approdare alla "convention online" nazionale, che a questo punto non si terrà affatto. 

Non è bastato prorogare la scadenza: nessuno dei tre "finalisti" che avevano primeggiato nelle prime tornate delle "primarie online" do AE ha infatti raggiunto i 12mila voti: nè l'ex governatore della Louisiana Buddy Roemer, nè l'ex sindaco di Salt Lake City Rocky Anderson, nè l'attivista Michealene Risley. Nulla di fatto, quindi: le firme sono state raccolte a vuoto, le 420mila iscrizioni online sono finite su un binario morto e i pur lauti finanziamenti elargiti (venti milioni di dollari!) sono stati scialacquati. Tutto si è risolto in un forfait per conclamata mancanza di interesse da parte duella stessa gente nelle cui mani si voleva rimettere il potere di scelta usurpato dalla "vecchia" politica. Altro che IPod, altro che Amazon: siamo piuttosto alle prese con un flop del tipo di quello che si ebbe con il Minidisc della Sony (o, per usare la metafora scelta da Michael Crowley sull'ultimo numero di TIME, allo Zune, il lettore MP3 con il quale la Microsoft non è riuscita a fare concorrenza alla Apple).
Paul Krugman se la ghigna beffardo sentenziando che l'operazione era destinata al fallimento sin dalla prima ora; e per una volta non si può che dargli ragione. Gli americani si lamentano moltissimo per le disfuzioni  e le degenerazioni del loro sistema politico, ma in fondo sanno che esso rimane il peggiore del mondo... ad eccezione di tutti gli altri. Guai a chi si lascia ingannare dal solito vecchio errore di considerare il mitico elettorato indipendente, quello composto dai cittadini che non si "registrano" nè come elettori repubblicani nè come elettori democratici, come se fosse l'elettorato di un potenziale terzo partito: gli indipendenti rappresentano sì circa un terzo delle'elettorato americano, ma non sono quasi mai indipendenti "puri", sono invece solitamente indipendenti "con tendenza" ("leaning"), orientati cioé verso uno dei due grandi partiti, anche in modo nè stabile nè tanto meno acritico o aprioristico. E guai a chi si illude che la politica sul web possa soppiantare quella tradizionale: firmare con un click delle belle petizioni online piace a tutti, ma la politica vera è un'altra cosa. Obama potrà aver deluso e Romney potrà esser uno sfidante scarsissimo, ma questo passa il convento e la partita vera sarà tra questi due. E "la gente" lo sa, come si è visto.

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