lunedì 16 febbraio 2009

PER OBAMA PIU' VENERDì 13 CHE SAN VALENTINO


Registravamo un paio di settimane fa come uno dei peggiori errori commessi sin qui dal neo-presidente Obama il tentativo di piazzare Bill Richardson come ministro del Commercio, abortito per via di un’inchiesta per corruzione nei confronti dell’interessato; e annotavamo che alla fine quel posto sarebbe andato al senatore (ed ex governatore) repubblicano liberista del New Hampshire Judd Gregg, e che quella scelta imprevista, spregiudicatamente "bipartisan", aveva parzialmente ridimensionato la figuraccia, a livello mediatico e non solo.
Ebbene: giovedì pomeriggio Gregg, prima ancora della conferma parlamentare della propria nomina, ha guastato ad Obama il bicentenario della nascita di Lincoln annunciando la propria rinuncia all’incarico, spiegando di essere in disaccordo su troppe cose con l’amministrazione Obama e di non essere disposto a “rinunciare a se stesso”. Evidente il riferimento al piano, pesantemente interventista, di “ rilancio dell’economia” all’esame del Congresso in quelle ore. La notizia ha conquistato le prime pagine dei quotidiani di venerdì (un vero “venerdì 13” per il neo-presidente). Il commento che circola è che Gregg abbia fatto marcia indietro “sotto la pressione del partito”; il che rende il suo gesto molto più significativo di quanto non sarebbe stato se si fosse trattato di una decisione puramente personale.

Nella notte fra venerdì e sabato, il Congresso ha approvato la mega manovra anticrisi di Obama: 787 miliardi di dollari, ripartiti tra tagli fiscali (meno del 40% del pacchetto) e spese federali (oltre il 60%). E' La spesa pubblica più massiccia approvata dal Congresso dai tempi di Franklin Delano Roosevelt, ed è indicativo il fatto che proprio dallo staff del presidente giungano in queste ore inviti a non aspettarsi miracoli, ma solo utilità nel lungo periodo.

Inoltre, anche in questo passaggio molti hanno colto l’assenza di quella “bipartisanship” lungamente promessa dal nuovo presidente.
Nel 1981, i tagli alle tasse del neo-presidente Reagan vennero approvati dal Congresso con l’appoggio di 48 (quarantotto) democratici alla Camera e 37 (trentasette) al Senato. La manovra di spesa di Obama ha ricevuto la miseria di 0 (zero) voti repubblicani alla Camera e 3 (tre) al senato. Tra i tre senatori "frondisti" non rientra, stavolta, il maverick John McCain, il cui commento è stato impietoso: “stiamo commettendo un furto generazionale. Stiamo accollando un deficit mostruoso alle generazioni future di americani”.
Secondo Huffington Post, tra i democratici cresce il risentimento nei confronti di tanta “ingratitudine” da parte di quello che, da semplice sconfitto alle ultime elezioni, sta(va?) divenendo, anche grazie ad una peculiare strategia dell’attenzione da parte di Obama, l’uomo-simbolo di una possibile opposizione collaborativa e non-ideologica.
Nei prossimi mesi si potrà capire l’opposizione repubblicana, nel mettere in piedi questa compatta “linea dura”, è in sintonia con il Paese oppure no.

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