La storia d’amore tra Starbucks e New York è in crisi? Se lo chiede Johnatan Knee su Slate, menzionando numerosi sintomi che sembrano confermare l'inizio di un declino che potrebbe avere conseguenze non solo nella Grande Mela.
La storia degli “usi e consumi” a stelle e strisce è costellata di operazioni imprenditoriali che sono nate più a Est ma hanno avuto successo anche grazie alla scelta di "Go West", di traslocare in California. Quella di Starbucks è in un certo senso una storia in senso inverso: nata negli anni Settanta a Seattle (che è una sorta di propaggine nordica del Golden State), reinventata negli anni Ottanta dal manager Howard Schultz che ebbe l’intuizione di puntare sul caffè “di tipo italiano”, la catena di bar più celebre del pianeta è divenuta tale negli anni Novanta, e uno dei passaggi cruciali che ne hanno determinato il successo è stato lo sbarco a New York, che non a caso è la città dalla quale Schultz proveniva.
Il primo Starbucks newyorkese venne aperto nel 1994 sulla Broadway all'angolo con la 87esima strada, in piena Upper West Side (una delle zone più agiate di Manhattan): era all'epoca il locale più grande di tutta la catena, e il successo fu tale che all'inaugurazione fu ingaggiata la security per tenere sotto controllo la folla. L’apertura di quel primo caffè venne annunciata come l’inizio di una operazione che avrebbe portato ad aprirne cento in quattro anni nella sola Grande Mela: un’enormità, se si considera che la rete di Starbucks - che oggi è mondiale e consta di quasi ventimila locali - all’epoca era solo statunitense e ne contava circa trecento in tutto.
La newyorkizzazione di Starbucks non fu solo una banale questione di fare vetrina, di mettersi in bella mostra nella città più trendy del pianeta: fu una evoluzione nella filosofia fondante di quei locali. New York è sinonimo di vita frenetica e stressante, e Schultz aveva ben chiaro che il successo di un bar in quel contesto si giocava sul saper essere un luogo relativamente tranquillo, che offrisse rifugio per una pausa rilassante. E quindi morbide poltrone oltre alle normali sedie, personale cortese, toilette pulite. Starbucks divenne così – non solo a New York – un luogo di ritrovo per giovani, non solo in gruppo ma anche da soli per leggere o scrivere, e questo ne decretò il boom planetario. Poco dopo venne il boom di Internet e Starbucks fu una delle prime catene ad offrire il Wi-Fi gratuito (dapprima, nel 2002, per le prime due ore; poi, dal 2010, illimitatamente, per tener testa alla concorrenza).
"Starbucks non sta cambiando solo le nostre abitudini su cosa manguiare e bere. Sta cambiando anche quelle su dove e quando lavorare e svagarci. Sta cambiando le nostre abutidini su come sprendere soldi e trascorrere il tempo. Ed è solo l'inizio" si leggeva sei anni fa in un reportage su USA Today. E ancora: "nei depliant su abitazioni di alto livello vicino a New York City, non è raro vedere la indicazione "vicino a uno Starbucks" come punto a favore per invogliare gli acquirenti. Uno Starbucks nei paraggi è decisamente un segnale del fatto che quel quartiere è "arrivato".
Qualche anno dopo, tira un'altra aria negli Starbucks di New York. Quella del wi-fi si è rivelata alla lunga una delle scelte più controproducenti: con gli anni i locali di Starbucks sono divenuti luogo di bivacco per studenti o lavoratori freelance particolarmente squattrinati che ne occupavano i tavolini per intere giornate solo per scroccare la connessione a Internet, consumando poco o nulla (si capisce che la Grande Recessione ha contribuito). Un anno fa alcuni locali newyorkesi di Starbucks hanno cominciato a bloccare le prese elettriche, per evitare che i clienti potessero sfruttare il wi-fi per un tempo superiore alla durata della batteria del portatile. Anche le poltrone sono state eliminate in molti locali newyorkesi.
Pochi mesi dopo è scattata sempre a New York la rivolta dei dipendenti contro l’utilizzo a sbafo delle toilette, che è impresa improba tenere pulite da quando la gente aveva preso l’abitudine di usarle come bagni pubblici: in alcuni Starbuck della Grande Mela il personale ha preso l’iniziativa di chiudere a chiave la porta del bagno o di metterci il cartello “riservato al personale” (da Seattle è però ben presto arrivato l’ordine di riaprirli).
Naturalmente si è aggiunto il fattore concorrenza: svariate catene, sia locali che nazionali, hanno imitato la formula che Starbucks aveva lanciato con tanto successo quasi vent’anni fa (o più banalmente hanno cominciato a servire caffè più buono), erodendone la posizione dominante.
Intendiamoci: oggi come oggi Starbucks non si può definire in crisi. I profitti, che negli ultimi tre anni sono stati in calo, hanno ora ricominciato a crescere; Seattle per sopravvivere alla crisi ha chiuso 900 punti vendita che non rendevano abbastanza, ma nel 2011 è risultata la quarta catena di locali pubblici d’America (superata solo da McDonald’s, Wendy’s e Burger King, quindi la numero 1 tra quelle che non servono hamburger). Ma nei suoi locali di New York, che furono alla base del suo boom, è palpabile una atmosfera di declino. Il futuro del suo business è piuttosto altrove, in Cina o in India?
Uscito su Good Morning America
Nessun commento:
Posta un commento