Oggi su Notapolitica:
Mancano esattamente due settimane al caucus dell'Iowa con il quale il 3 gennaio avrà ufficialmente inizio la competizione per selezionare lo sfidante repubblicano per le elezioni presidenziali americane del 2012.
Solo due settimane; eppure la situazione non potrebbe essere più caotica e più imprevedibile.
L'exploit dell'ex speaker Newt Gingrich nei sondaggi sembra si stia
già esaurendo, un po' troppo presto per un candidato che tutti gli analisti giudicano poco attrezzato per una lunga guerra di posizione, e che sarebbe quindi destinato ad avere la peggio se con Romney si innescasse un testa a testa come quello disegnato dai
sondaggi più recenti.
Nella baraonda dell'ultim'ora persino il vecchio libertario Ron Paul, eterno candidato sulla cui eleggibilità nessuno è disposto a scommettere, sembra in procinto di vivere un suo piccolo "momentum"; mentre il
governatore del Texas Rick Perry e la
pasionaria dei Tea Party Michele Bachmann, pur avendo entrambi perso per strada gran parte dei propri consensi, non sono ancora ridotti a termini tanto minimi da poterli già dare aprioristicamente per perdenti.
In tutto ciò Mitt Romney, il grande sconfitto delle primarie del 2008 che stavolta molti avevano incautamente dato per favoritissimo, e che di fatto coltivava la sua candidatura da anni, rimane disperatamente inchiodato ben al di sotto di un terzo dei consensi - decisamente pochino per un frontrunner.
Per di più, stavolta la frammentazione nel campo repubblicano verrà gravemente amplificata dal fatto che il Grand Old Party ha deciso di tenere gran parte delle proprie primarie con un sistema di voto di tipo proporzionale. Nel 2008, se Romney avesse strappato appena tre punti percentuali in più nel voto popolare nelle primarie della Florida e in quelle del blocco del "supermartedì", sarebbe arrivato alla convention finale in sostanziale parità con John McCain; grazie al sistema maggioritario secco, si ritrovò invece indietro di ben trecento delegati. Ma quest'anno sarà molto diverso.
Paradossalmente, tutto ciò avviene a meno di un anno da un'elezione presidenziale straordinaria, nella quale il presidente uscente, contrariamente a quanto accade di consueto, rischierà seriamente di essere battuto.
Vediamo perché. Nel novembre del 2008 Obama venne eletto con il 53% del voto popolare. Vinse solo negli Stati nei quali la percentuale di elettori che esprimevano un giudizio favorevole sulla presidenza dell'uscente George W. Bush veniva rilevata al di sotto della soglia del 35%. data l'aria che tira, è difficile pensare che l'anno prossimo ne conquisti di nuovi.
Il "
collegio elettorale" è composto da 538 "grandi elettori", quindi per vincere la Casa Bianca occorre il voto di almeno 270 di essi.
Nel 2008, gli Stati nei quali la maggioranza andò a John McCain ne esprimevano 173: se nel novembre del 2012 in quegli stessi Stati vincerà nuovamente il candidato repubblicano, quel bottino "facile" sarà aumentato a 180, perché in molti di quegli Stati il censimento del 2010 ha rilevato un aumento di popolazione che ha giocato in loro favore nella rassegnazione dei "voti elettorali" (caso estremo il Texas, che quest'anno conterà 4 voti in più).
Quindi, il candidato repubblicano si giocherà l'elezione su un cedimento di Obama che si traduca nella perdita di appena 90 voti elettorali.
Sono pochissimi, una miseria. Bush padre, l'ultimo presidente ad aver mancato la rielezione, quando nel 1992 al termine del suo primo mandato venne battuto da Bill Clinton, perse la bellezza di 258 dei voti elettorali con i quali era stato eletto. Prima di lui l'ultimo "single term president" era stato Jimmy Carter, che nel 1980 ne aveva persi 248.
Per rinvenire un precedente di un presidente che perde la rielezione per un margine di meno di cento voti elettorali, dobbiamo risalire indietro di un secolo tondo tondo prima della sconfitta di Bush padre: quando nel 1892
Benjamin Harrison mancò la rielezione per 88 voti elettorali.
A ciò si aggiunge il fatto che nel 2008 in alcuni Stati Obama vinse per un soffio. In South Carolina, ad esempio, vinse con un microscopico margine dello 0,4%; in Indiana dello 0,9. Basta un nonnulla per perdere simili vantaggi. Ma anche nella
sempre cruciale Florida (che da sola quest'anno esprime ben 29 voti elettorali, due in più rispetto al 2008) vinse con un margine del 2,5%, non esattamente una valanga se si pensa che Bush nel 2004 aveva vinto nel
Sunshine State con un margine del 4,2%.
Gli ultimi sondaggi vedono il presidente sempre più in difficoltà. E' pensabile che da qui a dieci mesi recuperi? Nessun presidente dai tempi di Franklin Delano Roosevelt è stato rieletto con un tasso di disoccupazione superiore al 7,2%; e nulla lascia intendere che durante il primo mandato di Obama essa scenderà al di sotto dell'8%.
La settimana scorsa il sondaggio della Associated Press - GfK ha rilevato una maggioranza assoluta di
elettori sfavorevoli alla rielezione, ed è la prima volta che accade da quando questo sondaggio viene condotto.
A questo punto l'unico pronostico che si possa azzardare, alla vigilia di questo anno elettorale anomalo ed imprevedibile, è che se qualcuno può regalare ad Obama una rielezione tanto ardua, quel qualcuno oggi come oggi pare essere proprio il partito repubblicano, se si impegnerà a scegliere l'uomo sbagliato.