Oggi su Notapolitica:
Tra le diverse ragioni che rendono indigesta la proposta “Quagliariello-Cicchitto” che vorrebbe per la prima volta legiferare sulle primarie nel nostro Paese, trovo particolarmente degna di attenzione quella sottesa al fatto di voler limitare la proposta alle sole “cariche monocratiche”.
“Se regoliamo le primarie con una legge dello Stato”, ha evidenziato il Prof. Quagliariello in un intervento su Il Tempo sabato scorso, “la stessa legge dello Stato deve prevedere che le cariche a cui le primarie si riferiscono siano monocratiche e ad elezione diretta”.
Quindi: primarie consentite (NON obbligatorie) per scegliere il candidato sindaco, presidente della Provincia, presidente della Regione; e primarie vietate (!) per scegliere il candidato deputato, senatore, consigliere regionale e così via.
E perché mai?Negli Stai Uniti, dove questo metodo è nato e si è sviluppato, le primarie vengono utilizzate per selezionare i candidati alle cariche assembleari quanto per le cariche monocratiche: non c’è deputato o senatore, al Congresso di Washington come nei parlamenti locali dei singoli 50 Stati dell’Unione, che non sia passato attraverso questa selezione.
Anzi: negli USA, nelle zone dove il voto è stabilmente orientato verso uno dei due grandi partiti, le primarie, anche per le candidature dei parlamentari, di fatto contano quasi più dell’elezione generale; e in effetti questo sistema venne sviluppato negli Stati del Sud dopo la Guerra Civile proprio per ovviare alla realtà quasi-monopartitica che lì si era andata creando per via del predominio schiacciante del Partito Democratico.
E allora, come la mettiamo?Il fatto è che la scelta operata dalla proposta di Legge “Quagliariello-Cicchitto” è dovuta ad una ragione ben precisa, che, ancorché in un certo qual modo scabrosa, sarebbe bene esplicitare il più possibile e non dare per sottintesa come qualcosa di impronunciabile.
E’ presto detto: negli USA le primarie si applicano anche alle candidature per i seggi parlamentari perché il siste4ma elettorale è sempre quello del “First Past The Post” basato sul “single member constituency” – cioè maggioritario secco basato sul collegio elettorale uninominale. In ogni collegio si va ad eleggere un solo deputato o senatore, quello che ha preso più voti anche se non necessariamente la maggioranza assoluta, e che sarà il solo rappresentante degli elettori residenti in quel territorio.
Questo non solo rende le primarie tecnicamente possibili, ma le rende anche estremamente importanti perché fa sì che i candidati vengano selezionati “sul territorio” dagli elettori del posto, e quindi garantisce che quello che verrà eletto sia effettivamente espressione della realtà del suo collegio.
Non a caso le primarie - anche per le cariche assembleari - si sono diffuse, nel corso del Novecento, anche in Gran Bretagna, dove il sistema elettorale – quello che gli elettori a gran maggioranza hanno saggiamente deciso di tenersi ben stretto con il referendum del mese scorso è pressoché identico a quello americano (ed anzi ne rappresenta l’archetipo); e sono approdate negli ultimi anni anche in Francia, dove, seppure con la variante del secondo turno, vige comunque un sistema elettorale basato sul collegio uninominale.
Sottacere questo fattore equivale a dare per scontato che in Italia la questione delle primarie si debba o possa trattare senza mettere in discussione l’attuale legge elettorale, che pure per generale ammissione è una delle peggiori che noi si abbia mai avuto.
Sai che bello passare ad una selezione attraverso le primarie dei candidati a “cariche monocratiche”… che poi si debbano rapportare ad assemblee composte da nominati e cooptati?
Non dimentichiamo che l'esperimento del Mattarellum, che avrebbe dovuto recepire la netta scelta referendaria del 1993 per un passaggio al sistema del collegio uninominale, fallì anche perché, in mancanza delle primarie, i candidati venivano allegramente "paracadutati", in esito a spartizioni tra le oligarchie dei partiti, in collegi rispetto ai quali erano e rimanevano degli alieni.
In questi giorni in cui la logica fondamentalmente proporzionalista dell’attuale sistema elettorale torna a mostrare tutti i propri difetti, sarebbe doveroso discutere delle primarie e della legge elettorale unitamente, prendendo il toro per le corna e ponendo una buona volta la questione del ritorno al sistema del collegio uninominale. Qualche proposta in questo senso si è pure sentita, ma del tutto estemporanea e di nicchia, oppure in termini di “appello”, di altissimo profilo ma apparentemente senza troppe speranze di trovare ascolto presso i destinatari.
Stando così le cose, nemmeno dai ragionamenti sulle primarie può uscire nulla di buono.
Questo non solo rende le primarie tecnicamente possibili, ma le rende anche estremamente importanti perché fa sì che i candidati vengano selezionati “sul territorio” dagli elettori del posto, e quindi garantisce che quello che verrà eletto sia effettivamente espressione della realtà del suo collegio.
Non a caso le primarie - anche per le cariche assembleari - si sono diffuse, nel corso del Novecento, anche in Gran Bretagna, dove il sistema elettorale – quello che gli elettori a gran maggioranza hanno saggiamente deciso di tenersi ben stretto con il referendum del mese scorso è pressoché identico a quello americano (ed anzi ne rappresenta l’archetipo); e sono approdate negli ultimi anni anche in Francia, dove, seppure con la variante del secondo turno, vige comunque un sistema elettorale basato sul collegio uninominale.
Sottacere questo fattore equivale a dare per scontato che in Italia la questione delle primarie si debba o possa trattare senza mettere in discussione l’attuale legge elettorale, che pure per generale ammissione è una delle peggiori che noi si abbia mai avuto.
Sai che bello passare ad una selezione attraverso le primarie dei candidati a “cariche monocratiche”… che poi si debbano rapportare ad assemblee composte da nominati e cooptati?
Non dimentichiamo che l'esperimento del Mattarellum, che avrebbe dovuto recepire la netta scelta referendaria del 1993 per un passaggio al sistema del collegio uninominale, fallì anche perché, in mancanza delle primarie, i candidati venivano allegramente "paracadutati", in esito a spartizioni tra le oligarchie dei partiti, in collegi rispetto ai quali erano e rimanevano degli alieni.
In questi giorni in cui la logica fondamentalmente proporzionalista dell’attuale sistema elettorale torna a mostrare tutti i propri difetti, sarebbe doveroso discutere delle primarie e della legge elettorale unitamente, prendendo il toro per le corna e ponendo una buona volta la questione del ritorno al sistema del collegio uninominale. Qualche proposta in questo senso si è pure sentita, ma del tutto estemporanea e di nicchia, oppure in termini di “appello”, di altissimo profilo ma apparentemente senza troppe speranze di trovare ascolto presso i destinatari.
Stando così le cose, nemmeno dai ragionamenti sulle primarie può uscire nulla di buono.
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