Mio pezzo su L'Occidentale di oggi.
Solo per i lettori del blog, eccone una versione "arricchita" (di link, soprattutto):
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Prima di festeggiare il “successo” della prima visita di Obama a Mosca per via dell’ “accordo preliminare” sulla riduzione delle testate nucleari, sarebbe forse prudente chiedersi come mai in realtà fossero i russi, e non gli americani, a volere a tutti i costi questo accordo – circostanza nota e di pubblico dominio, anche se la Casa Bianca negli ultimi giorni ha pensato bene di dare in pasto ai media del materiale “fumogeno” per dissimularla.
A questo proposito, l’analisi più approfondita è quella del WSJ: centrata sull’importanza del fatto che, accanto alla riduzione delle testate, si sia negoziato, su pressione dei russi, anche sulla riduzione dei vettori nucleari (cioè gli aerei bombardieri, le rampe missilistiche di terra e quelle trasportate sui sottomarini).
Il limite attuale è di 1.600 vettori, quello futuro concordato sarà di 1.100. Un buona affare per Mosca, non certo per Washington, sostiene il WSJ.
“Perché? Perché il numero di vettori russi è comunque destinato a precipitare nei prossimi anni, semplicemente perché quelli attualmente in forze stanno divenendo obsoleti. In altre parole, buona parte dei vettori russi verranno comunque rottamati, con o senza un nuovo trattato sul controllo degli armamenti […] Stando alle stesse fonti russe, la Russia verosimilmente nel 2017-2018 avrà meno della metà dei circa 680 vettori che ha oggi. Con un PIL inferiore a quello della California, la Russia deve fare i conti su come stare al passo con gli USA mentre manda in pensione i suoi armamenti troppo datati. La soluzione di Medvedev è negoziare dei tagli che per gli USA sono reali, mentre per la Russia corrispondono in realtà né più né meno che all’eliminazione di ciò che sarebbe stato comunque dismesso […] Come ha notato il giornalista russo Pavel Felgengauer sul Novaya Gazeta, I leader russi "hanno chiesto agli americani concessioni unilaterali su tutto, offrendo in cambio proprio un bel niente".
In definitiva: l’accordo è stato una concessione che gli americani hanno fatto ai russi, presumibilmente nella speranza di “agganciarlo” a successivi possibili accordi sul “resto”, ossia sull’allargamento della NATO ad Est (leggi: Georgia e Ukraina), e soprattutto sul coinvolgimento della Russia nel disinnescare l’atomica iraniana - magari usando la questione dello "scudo" antimissilistico come merce di scambio, cosa che Obama tenta vanamente di fare sin dall’esordio della sua esperienza di governo (come annotai più di quattro mesi fa, prendendo anche nota del fatto che erano i russi a mettere sul tavolo la questione dei vettori... sulla quale, a quanto pare, l’hanno avuta vinta).
Per ora, però, i russi non appaiono per nulla interessati a collaborare sul “resto”; anzi. A questo proposito va assolutamente letta questa analisi apparsa un paio di giorni fa sul NYT, che spiega come per la Russia un Iran isolato dalle proprie ambizioni atomiche sia un eccellente business, mentre una sua “normalizzazione” e conseguentemente apertura all’occidente potrebbe essere assai svantaggiosa per gli affari della banda Putin – tipo, hai visto mai che i mullah si mettono a pompare gas nel Nabucco a discapito di Nord e South Stream…
Persino Newsweek, testata decisamente favorevole all'attuale presidente, ha pubblicato un pezzo che mette radicalmente in dubbio la concludenza di questo summit moscovita. Gli autori sottolineano che Medvedev è stato il primo leader mondiale a ricevere Ahmadinejad dopo la sua recente e "controversa" rielezione, e che la Russia "ha fatto di tutto per ammorbidire la risoluzione sull'Iran" al vertice dei ministri degli esteri del G8 il mese scorso a Trieste.
Non è finita.
Sul WSJ, si riporta anche che il pregevole discorso (pregevole anche se molto, molto prudente: l’America sostiene i principi liberali e democratici "because they are moral", ma anche "because they work”; e comunque non pretende di imporre niente a nessuno, se non scegliendosi i partner commerciali, come è logico, tra quelli più democratici e più liberali, ché sono più affidabili) pronunciato da Obama alla prestigiosa (ed elitaria) New Economic School nella speranza di emozionare un po' l'opinione pubblica russa, non è stato trasmesso in diretta da nessuna delle principali emittenti televisive del paese (con la sola eccezione del canale via cavo "Vesti"). Lo nota anche il Los Angeles Times, che (in un pezzo dall'eloquente titolo "i colloqui USA-Russia non producono nessun risultato importante") rileva pure come i telegiornali, nel limitarsi a trasmettere qualche breve fimato del discorso, abbiano pure sottolineato polemicamente che l'arrivo di Obama aveva interrotto la cerimonia di consegna dei diplomi agli studenti. Stessa storia anche sul NYT, il quale rincara la dose raccontando che l’accoglienza che i moscoviti hanno riservato ad Obama è stata cortese ma gelida, sorprendentemente insensibile al carisma del 44esimo presidente e per nulla incline al festoso calore con il quale folle oceaniche accorrono solitamente ad applaudirlo in tutte le capitali occidentali. Identico racconto pure sul Washington Post (così chiudiamo il cerchio della trimurti della "grande stampa liberal"), che pure si prodiga in incredule descrizioni di come i russi, accidenti a loro, a quanto pare sono risultati totalmente immuni all’obamamania. A quanto pare i cronisti yankee sono rimasti tutti impressionati dalla stessa cosa, persino la Reuters oggi ha lanciato un pezzo del corrispondente da Mosca per raccontare lo spettacolo clamoroso di un popolo che ha resistito al fascino di Obama.
Insomma: per le buone notizie, meglio ripassare un'altra volta.
PS: Non avevano torto quelli dell'Economist, con quella copertina così inquietante...
DAY-AFTER UPDATE: Oggi Stehpen Walt, professore di relazioni internazionali ad Harvard, spiega sul Daily Beast perché l'accordo preliminare raggiunto è, nella sostanza, molto meno significativo di quanto sembra, e perché "raggiungere un accordo definitivo prima della scadenza dell'attiale trattato START sarà un'impresa erculea".
Frattanto, dal G8 giungono (via NYT) spiacevoli conferme:
"After a long discussion Wednesday night, President Obama and counterparts from the rest of the Group of 8 powers called on Iran to compromise on its uranium enrichment program, condemned its crackdown on the dissent after President Mahmoud Ahmadinejad’s re-election and repudiated the president’s statements denying the Holocaust.
But the Russians succeeded at blocking any further sanctions, despite Mr. Obama’s visit to Moscow leading up to the Group of 8 summit meeting, which he used to press the Kremlin to join him in a unified front. Although President Dmitri A. Medvedev told Mr. Obama on Monday that he shared concerns about Iran’s nuclear program, Russian officials on Thursday boasted that they had watered down the Group of 8 statement".
1 commento:
Sicuramente la Russia sta approfittando del dossier iraniano per ottenere vantaggiose concessioni da parte americana - e sicuramente è vero che l'amministrazione Obama sta esagerando nell'accondiscendenza verso il Cremlino. Tuttavia si potrebbe leggere la notizia che l'articolo riporta (cioè l'accordo per la riduzione delle testate nucleari e dei vettori in grado di lanciarle) come un punto a favore degli Usa: da una parte gli Americani stanno incrementando i loro sistemi anti-missilistici (il nuovo piano per l'Europa sarà, nel medio-lungo periodo, ancora più efficace di quello proposto ai tempi di Bush), dall'altra diminuiscono numericamente gli ordigni atomici da intercettare in caso di una (cmq improbabile) guerra. Bisogna considerare che, in un confronto senza armi nucleari, l'esercito americano avrebbe probabilmente la meglio su quello russo e su quello cinese, ed è quindi nell'interesse degli Usa che si riduca il numero di armi nucleari nel mondo. Ovviamente non sarà mai possibile privarsi di tutte, altrimenti qualsiasi nazione (anche la meno influente) avrebbe interesse a dotarsene per poter competere con le grandi superpotenze. Ma riuscire ad avere più missili intercettori dei missili balistici avversari non sarebbe tanto male, per gli Stati Uniti.
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