Mentre l’esercito USA combatte in Afghanistan nientemeno che “la più vasta operazione militare dai tempi del Vietnam” , brutale definizione che viene data in pasto persino ai palati delicati dei lettori de La Repubblica (parbleu che brutta roba dal gusto retro, bushiano e neocon...), il solito, impagabile Vittorio Zucconi rassicura i lettori del "suo" giornale distogliendoli dagli inquietanti elementi di colore sui quali si sarebbe invece presumibilmente concentrato se alla Casa Bianca ci fosse ancora un presidente repubbblicano (dal nome dell'operazione - "Colpo di Spada" - alla concomitanza con la vigilia del 4 luglio), e producendosi in siffatti arzigogoli:
L'Obama guerriero è una figura incongrua e non perché lui, come i falchi da salotto e da talk show alla maniera dei neo-con che lo avevano preceduto al potere, non abbia mai indossato un'uniforme sul serio e non abbia mai provato che cosa significhi davvero sparare a un nemico o essere il bersaglio di proiettili. Guardandolo e ascoltandolo, ormai da molti mesi, prima in campagna elettorale e poi dallo Studio Ovale, si capisce come il suo modus operandi, la sua personalità, la sua storia non possano essere quelli di condottieri bellici, di uomini che sono naturalmente dotati, a volte sfortunatamente dotati, della capacità di vedere il mondo in bianco e nero, diviso in "noi e loro". Come quel generale Patton, idolo dei soldati e dei marines in Europa, la cui filosofia di vita si riassumeva nel famoso motto: "Fare la guerra significa ammazzare quei figli di puttana prima che quei figli di puttana ammazzino te".
Il mondo nel quale si muove Obama, come la sua storia biologica di figlio dell'Europa e dell'Africa insieme, è un mondo in grigio, di tonalità sfumate, che non sono gli ingredienti del semplicismo ideologico, mistico o caratteriale indispensabile
per condurre grandi e vere guerre nella certezza di stare dalla parte del bene assoluto. Anche questa offensiva nella valle dell'Helmand, dove i Taliban risorti (in realtà mai scomparsi) si erano riorganizzati per sfruttare un passaggio geografco chiave e per far ripartire alla grande la produzione e il traffico di oppio, pur se "il rumore e la furia" degli sbarchi dei marines dagli elicotteri sono impressionanti, ha qualcosa di molto obamiano, il sapore di una mossa da giocatore di scacchi, non da duellante all'ultimo sangue. Nel suo universo la priorità appartiene sempre alla politica, non alla forza, e lo sbarco roboante di marines con colonna sonora delle pale dei grandi elicotteri Black Hawk nella valle dell'Helmand sembra una mossa politica, diretta soprattutto a quel Pakistan, e a quell'Iran in subbuglio da fine di regime, che tengono da sempre le chiavi della valli afgane. Dove nessuna forza militare straniera, da Alessandro il Macedone a Bush il Texano, è mai riuscita a imporre la propria volontà e il proprio controllo".
Paraponzi-ponzi-po'. Per la serie "i fatti separati dalle opinioni": qualcuno, per cortesia, aggiorni i lettori di Zucconi su cosa sta accadendo laggiù, stando alle notizie di oggi; e già che ci siamo, qualcuno spieghi loro con quali “mosse da giocatori di scacchi” , con quale “priorità alla politica, non alla forza” , Obama, complice la sua storia non biologica di figlio di Chicago e quindi anche di qualcos'altro, sta “negoziando” con i paki-talebani, sin dai primissimi giorni di vita del suo governo (non senza i fisiologici "incidenti diplomatici" del caso). Si potrebbe anche aggiungere che oltreoceano (ma anche oltremanica) è da gennaio che si leggono continui paragoni fra il modo in cui Obama sta gestendo la grana afghano-pakistana e quello in cui LBJ gestì quella vietnamita, con tanto di critiche radical ad una escalation di johnsoniana memoria.
Certo, la tesi di Christian Rocca sarà pure un po' semplicistica; ma vista l'alternativa...
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