Un esperimento. Una “terza via” fra l’appeasement tipico della realpolitik europea e l’interventismo militare tipicamente amerikano (uno dei flop clintoniani andò in onda 10 anni fa proprio in Sudan, e rimase celebre anche sul grande schermo).
Un regime change per via internazional-giudiziaria.
Mossa molto ambiziosa, forse velleitaria.
Questi processi oramai non sono fatti eccezionali. Giusto lunedì scorso era cominciato a l'Aja il processo sull'assassinio di Rafiq al-Harari, il premier libanese. E sempre a l'Aja Charles Taylor, già dittatore della Liberia, è sotto processo davanti a un tribunale internazionale speciale internazionale per i crimini di guerra in Sierra Leone. E Thomas Lubanga, signore della guerra congolese, è anche lui sotto processo alla ICC. E il mese scorso un tribunale "ibrido" ONU-Cambogia ha cominciato a processare “Duch”, un ex comandante dei Khmer Rossi.
Questi processi oramai non sono fatti eccezionali. Giusto lunedì scorso era cominciato a l'Aja il processo sull'assassinio di Rafiq al-Harari, il premier libanese. E sempre a l'Aja Charles Taylor, già dittatore della Liberia, è sotto processo davanti a un tribunale internazionale speciale internazionale per i crimini di guerra in Sierra Leone. E Thomas Lubanga, signore della guerra congolese, è anche lui sotto processo alla ICC. E il mese scorso un tribunale "ibrido" ONU-Cambogia ha cominciato a processare “Duch”, un ex comandante dei Khmer Rossi.
Ma il caso di Bashir è diverso: per la prima volta, si vorrebbe processare un capo di stato mentre è in carica.
Nemmeno con Milosevich si arrivò a tanto: quando venne incriminato era già di fatto "uscente".
Al lato pratico, c’è un però.
Quando gli è stato notificato il mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale dell'Aja, Bashir era intento ad inaugurare una mostruosa, gigantesca diga sul Nilo con annessa titanica centrale idroelettrica, il tutto costruito, pensa un po', dai cinesi.
Quando gli è stato notificato il mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale dell'Aja, Bashir era intento ad inaugurare una mostruosa, gigantesca diga sul Nilo con annessa titanica centrale idroelettrica, il tutto costruito, pensa un po', dai cinesi.
Già: i cinesi. Il regime sudanese, orfano dei faraonici investimenti di Bin Laden degli anni Novanta, è stato “salvato” negli ultimi anni da quelli di Pechino. Il Sudan è uno degli stati più poveri del mondo, senza massicci interventi esterni non è in grado di reggersi da solo (tanto per intenderci: noi ci preoccupiamo delle recessione, loro della carestia). Ma nel sottosuolo ha il petrolio, e si sa che i cinesi preferiscono approvvigionarsene affiliandosi qualche tiranno piuttosto che acquistandolo sul mercato (mica solo in Africa: nel 2006 il Venezuela di Chavez ha autorizzato le imprese cinesi a ricercare petrolio sia su terraferma sia off-shore, e nello stesso periodo anche il regime cubano ha stipulato un “accordo di cooperazione” con quello cinese per lo sfruttamento del grande giacimento di petrolio che si trova sotto i fondali marini dello stretto della Florida).
Ecco perché in questi anni la Cina ha difeso Bashir e i suoi killer, ponendo il veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU contro le sanzioni del genocidio in Darfur (anche dopo che, nel luglio del 2008, il procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale ha chiesto il mandato d'arresto per genocidio concesso ieri).
Ecco perché in questi anni la Cina ha difeso Bashir e i suoi killer, ponendo il veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU contro le sanzioni del genocidio in Darfur (anche dopo che, nel luglio del 2008, il procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale ha chiesto il mandato d'arresto per genocidio concesso ieri).
Li ha difesi e li ha armati. Stando ai dati dell’ ONU, l’88% delle armi da fuoco importate in Sudan (violando l'embargo) sono di produzione cinese. Secondo la BBC, sono di fabbricazione cinese anche i bombardieri usati per massacrare i civili in Darfur, e la Cina si fa carico persino di addestrarne i piloti.
Non giunge quindi inattesa la reazione di di Pechino, che stamattina ha chiesto ufficialmente di sospendere il mandato di arresto.
Forse ha ragione chi liquida come infondate e immorali le obiezioni dei “realisti”; è giusto però porsi il problema dei rischi connessi alla eventualità che Bashir se ne resti bel bello al suo posto, grazie alla protezione dei suoi padrini. Oggi intervistato sul Corriere lo fa Michael Walzer, un liberal ma non una mammoletta. E in definitiva spiega che se ne uscirà qualcosa di buono, sarà solo con una riconversione della "ingerenza" da giudiziaria a militare.
Oltreoceano, per ora, dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato un mix di "no comment" e di dichiarazioni iperprudenti. In stile quasi europeo, diciamo. Una timidezza della quale non è difficile ipotizzare le ragioni...
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UPDATE - Scetticismo sul sito de Il Foglio: "Il primo effetto del mandato d’arresto è che i ribelli, gli stessi che avevano siglato la pace a febbraio, si sono subito rimangiati l’accordo. Il secondo effetto è che Khartoum ha ordinato l’evacuazione forzata del personale di Medici senza frontiere, che in molte zone alla fame del paese è la sola organizzazione umanitaria. E Bashir appare così poco scosso da annunciare già visite all’estero".
2 commenti:
già. gli effetti possono essere, al momento, solo politici.
Però. Però.
Per capire l'opportunità del mandato di arresto in questo momento, è bene aggiungere che Bashir gode di immunità assoluta essendo Capo di Stato in carica, quindi nemmeno viaggiando all'estero rischia finché è in carica di essere arrestato da potenze straniere.
Con tutte le conseguenze paradossali del caso.
Te lo immagini prendere la parola all'Assemblea Generale dell'ONU per difendersi?
Non ho verificato, ma penso che nulla, al momento, potrebbe impedirgli di farlo...
In realtà, la questione dell'immunità in questo specifico caso è alquanto controversa.
Giorni fa a Radio Radicale il prof. Attila Tanzi ha esposto con molta chiarezza la tesi contraria.
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