"Una freccia nella faretra della politica estera americana è sempre stata il nostro esercitare pressioni sui regimi dittatoriali - talvolta sottovoce (come con gli accordi di Helsinki), talvolta con recite teatrali ("Sig. Gorbaciov, abbatta questo muro!") - affinché rispettassero i diritti umani. Hillary Clinton ha messo quella freccia sotto il suo ginocchio, l'ha spezzata in due e l'ha buttata via. E non è la sola. In questo, così come su altre questioni, si sta attenendo all'andazzo impresso da colui che l'ha sconfitta alle primarie democratiche. Nel suo discorso inaugurale, Barack Obama si è limitato ad una minima menzione dei diritti umani. E nel suo discorso del 26 febbraio davanti al Congresso, ha dedicato appena il 7% delle sue parole alle politiche estere e di difesa, ed ha pronunciato una sola volta la parola "libertà". Pare inoltre che sia ben determinato nel nominare a capo del National Intelligence Council un personaggio che approvò la repressione da parte del regime cinese del movimento studentesco pro-democrazia in Piazza Tienanmen nel 1989. E ha registrato con fredda indifferenza il successo delle recenti elezioni amministrative in Iraq".
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"Nemmeno quando a portare avanti la causa dei diritti umani fu Ronald Reagan, nelle Filippine come contro l'Unione Sovietica, la sinistra osò dichiarare che fosse meglio rimanere indifferenti rispetto alla opportunità di espandere la democrazia e la libertà nel mondo. Ma ora sembra intenzionata a farlo, per il gisto di ripudiare dalla a alla z ogni politica che sia stata fatta propria da George W. Bush. Qualcuno dovrebbe forse far presente che una granitica indifferenza rispetto alla libertà altrui non è una cosa molto di sinistra - e non è una cosa molto generosa, nè molto attraente".
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