“L'attrazione fatale dei Repubblicani per l'America rurale”: Joel Kotkin mette in guardia contro questa tentazione in un suo pezzo uscito ieri su Forbes, forse uno dei più interessanti usciti in questi mesi. Kotkin è un importante urbanista-sociologo californiano, autore del saggio “The Next Hundred Million: America in 2050” ed opinionista su innumerevoli testate. In questo suo ultimo articolo egli osserva l'andamento delle primarie repubblicane e vi legge una eccessiva influenza degli elettori che abitano nelle campagne e nei paesini. Secondo Kotkin il Partito Repubblicano sta rischiando di “finire ostaggio” non tanto di una base conservatrice, come spesso si è detto e scritto in questi mesi, quanto piuttosto di una “base rurale”, che
ha mantenuto in vita l'improbabile campagna per la candidatura di Santorum, dalla sua prima vittoria in Iowa ai trionfi in Stati prevalentemente composti da campagne e paesini come Kansas, Mississippi, North Dakota e Oklahoma. Le cittadine di provincia e le comunità rurali di Stati come il Michigan e l'Ohio hanno inoltre messo al riparo l'ex senatore della Pennsylvania dall'annientamento in competizioni elettorali che altrimenti avrebbe perso di brutto.
Il problema, osserva Kotkin, è che questa “America rurale”, che un secolo fa rappresentava il 72% del Paese, oggi è ridotta ad una esigua minoranza – il 16%, per la precisione. Un Partito che faccia eccessivo affidamento su questa base elettorale è quindi un partito che si rifugia in un ruolo minoritario.
La popolazione cui Kotkin ritiene che il G.O.P. Farebbe meglio a rivolgersi non è, però, quella delle grandi città: quella è oramai appannaggio dei Democratici, essendo prevalentemente composta da gente o troppo povera o troppo ricca per votare repubblicano. I repubblicani dovrebbero semmai tentare di conquistare il voto delle enormi aree residenziali extraurbane che non sono né rurali né cittadine, e nelle quali abita ormai la maggioranza assoluta degli americani: nel 1950 ci viveva il 25% della popolazione, oggi il 51%.
Il fenomeno del travaso della popolazione dalle città a quelle nuove aree residenziali che allora si chiamavano suburbs nacque nei primi anni Settanta, ma è esploso negli anni Novanta quando si passò ad edificare qualcosa di più dei tradizionali “quartieri-dormitorio” i cui abitanti lavoravano in città e quindi pendolavano avanti e indietro ogni giorno sulle intasate interstate: si cominciò a stabilire i luoghi di lavoro direttamente là, fuori dalla città, creando dei mega-complessi residenziali che non erano più adiacenti alla città, e non erano più dei satelliti della città, essendo ormai dotati di propri centri commerciali, luoghi di svago, scuole, servizi, eccetera. A quel punto la popolazione dei suburb ha preso a crescere dieci volte più in fretta di quella delle città, e luoghi in cui un tempo sorgevano paesi o cittadine di provincia sono stati fagocitati da sterminate distese di villette monofamigliari tutte uguali, schierate in modo un po' surreale lungo vialetti tutti uguali.
Oggi un americano su due vive in posti così, che noi qui conosciamo quasi solo per averli intravisti in qualche serie TV (ad esempio la immaginaria"Fairview" in cui è ambientato "Desperate Housewives").
Per definire queste realtà decentrate e senza centro, senza grattacieli e senza degrado, senza campi ma con tanti curati giardinetti, gli urbanisti si avventurano in definizioni complesse come “quartieri periferici esterni”, o “periferia residenziale extraurbana”; spesso per brevità usano ancora il termine tradizionale suburbia, i più raffinati a volte quello più recenteexurbia per enfatizzare la desatellizzazione dalla città.
Nel 2004 david Brooks ci ha scritto un saggio, “On Paradise Drive” (uscito in Italia come “Happy Days – Questa è l'America”, Lindau 2006), che racconta come la maggioranza degli americani sia ormai composta da una massa di persone che
non soltanto non vive in città, ma non fa nemmeno il pendolare avanti e indietro verso e dalla città, non va al cinema in città, non mangia in città, o non ha alcun contatto significativo con la vita urbana. Non sono né di campagna, né di città, né residenti di una zona dormitorio. Stanno mappando un nuovo modo di vivere.
L'abitante tipico di suburbia/exurbia è il vero americano medio del Ventunesimo secolo: pragmatico, né povero né ricchissimo, tendenzialmente antistatalista più per abitudine che per ideologia: la realtà di exurbia, nella quale la proprietà privata e l'amministrazione condominiale lasciano ben poco spazio all'ente pubblico, sia esso il Comune o il Governo federale, sfugge di per sé alla pianificazione da parte dei politici e dei tecnocrati, all'incanalamento delle persone sui mezzi di trasporto pubblici e nella filiera dei servizi pubblici in genere. Egli è per lo più impiegato nel terziario, molto legato ad uno stile di vita altamente tecnologico e poco legato ad una appartenenza etnica.
Ecco spiegato, quindi, il grido d'allarme di Kotkin:
I suburbs, con la loro popolazone prevalentemente composta da bianchi, ceto medio ed elettorato indipendente, nelle elezioni del 2008 hanno dato la vittoria ad Obama, ed è lì che si deciderà anche la prossima elezione. La gente di campagna si adatterà ad un candidato repubblicano moderato standard come Romney, anche se un po' a malincuore, per motivi sia economici che sociali. La battaglia passerà ai suburb, comprese le aree urbane, comuni nelle grandi città del Sud e dell'Ovest, che sono composte prevalentementre da aree suburbane. La maggior parte del nucleo urbano, invece, voterà compatto per Obama. Ma il presidente, che è la persona di gusti e pregiudizi più nettamente urbani che abbia mai abitato alla Casa Bianca, potrebbe rivelarsi vulnerabile in suburbia, se i repubblicani saranno capaci di far arrivare un messaggio appetibile per gli abitanti di quei luoghi.uscito su Good Morning America
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