mercoledì 18 maggio 2016

TRUMP E L'AMERICA CHE VOTA CON IL DITO MEDIO


Nato miliardario, residente a Manhattan, cresciuto nello sfarzo: come candidato anti-establishment, Donald Trump non è altro che una grande messinscena, peraltro delle meno credibili. Eppure le sue sparate funzionano alla grande con quegli americani che vogliono semplicemente votare 'contro'. Perché?


Qualcosa si muoveva già nel 2000, quando nelle primarie presidenziali repubblicane il candidato sostenuto dall’establishment del partito, il governatore del Texas George W. Bush, era inizialmente inciampato nel più scomodo dei maverick.
Il settimanale Rolling Stone aveva proposto al giovane scrittore anticonformista David Foster Wallace di scegliersi un candidato alle primarie di uno dei due partiti e seguirlo on the road per una settimana per scrivere un reportage; e lui aveva scelto di salire sul bus dell’anziano senatore repubblicano John McCain. Era lui, in quel momento, la rockstar della politica americana. E lo era in quanto alternativa “antiestablishmentarian”. Il suo programma era imperniato sulla proposta di una grande riforma del sistema di finanziamento delle campagne elettorali, volta a ridimensionare il potere delle grandi lobby. I suoi comizi si aprivano con la musica di “Star Wars”, quasi a suggerire che Bush fosse un Dart Fener e lui un Luke Skywalker della politica (pare anche che in privato chiamasse scherzosamente “la Morte Nera” la macchina elettorale dell’avversario). La sua avventura durò poche settimane, ma suscitò un entusiasmo sintomatico. Qualcosa si muoveva.

E quel qualcosa si muoveva ancora di più otto anni dopo, quando, nelle primarie presidenziali per il dopo-Bush, John McCain riuscì dove otto anni prima aveva fallito: battè il candidato più ricco e più gradito all’establishment del partito, che stavolta aveva il volto di Mitt Romney. Simmetricamente, nelle primarie democratiche la candidata dell’establishment, Hillary Clinton, da tempo considerata la favorita al limite della predestinazione, venne battuta dal giovane outsider Barack Obama.
Che il 2008 sia semplicemente un anno strano”, si chiese l’opinionista neoconservatore Bill Kristol, “o sta forse accadendo qualcosa di grosso? Stiamo assistendo ad uno dei periodici risvegli politici e culturali dell’America, a una delle nostre occasionali, quasi compulsive reazioni democratiche alla distanza, percepita come eccessiva, tra la gente ed suoi “establishment”? Risvegli di questo genere posso essere anche improvvisi, e possono anche arrivare su più fronti contemporaneamente. Spesso sono accomunati da un tema ricorrente, ossia la richiesta popolare: “piantatela di parlare in nostro nome, e cominciate un po’ ad ascoltarci”. 
Alla fine di agosto, a poche ore dalla convention nazionale repubblicana in Minnesota, McCain spiazzò tutti annunciando che avrebbe candidato come sua vice la governatrice dell’Alaska, Sarah Palin. 

Segue sulla monografica bimensile MAGGIO/GIUGNO 2016 di STRADE  (L'intero numero della rivista è qui)

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