venerdì 16 gennaio 2015

IL MONDO DI CHARLIE E IL SEGGIO VACANTE


Saremo soli?
Questa è stata la prima domanda che mi è passata per la testa lo scorso 7 gennaio, una volta sedimentatasi la prima scarica di orrore di fronte alla notizia della strage nella redazione di Charlie Hebdo. 

No - è la risposta che ben presto mi sono dato. Noi europei, noi vicini di casa delle vittime di questo scempio, non saremo soli.
Gli americani potrebbero anche chiamarsi fuori, disinteressarsi di un episodio per molti versi estraneo alla loro realtà domestica, che non li chiama in causa più di tanto, che è legato a problemi di integrazione degli immigrati molto diversi dai loro, e a controversie sulla libertà di espressione differenti da quelle che costellano la nobile tradizione del free speech d'oltreoceano.

Potrebbero, si'; ma non lo faranno. Perché, nonostante tutto ciò che ci ha divisi ed allontanati nell'ultimo decennio, nonostante tutte le incomprensioni e le divaricazioni, quella dimensione comune che un tempo chiamavamo Mondo Libero esiste ancora: nei cuori e nelle menti degli americani c'e' ancora un tutt'uno condiviso che fa sì che, quando la libertà viene attaccata con tanta ferocia da questa parte dell'Atlantico, questo attacco venga vissuto come un attacco anche al loro mondo.
Mi sono trovato quasi subito ad affermarla, questa convinzione, e le conferme non si sono fatte attendere. "Fremo dalla rabbia per l'attacco a Charlie Hebdo", ha scritto tra i primi Roger Cohen del New York Times. "È un attacco al mondo libero. L'intero mondo libero deve rispondere, senza pietà". Altri gli hanno fatto eco. Numerosi. Di destra e di sinistra. La gente in piazza. La foto della gente in piazza - e lo slogan "Je Suis Charlie" - sulla prima pagina di USA Today, il quotidiano della gente comune, nato negli anni del presidente uomo comune, Ronald Reagan. La vignetta di Charlie Hebdo sulla pagina degli editoriali del Washington Post. Lo slogan "Je Suis Charlie" sul megaschermo del NASDAQ a Times Square. Basta guardare la mappa della diffusione dell'hashtag #jesuischarlie su Twitter (subito divenuto uno dei più condivisi della storia) per constatare che sul piano emotivo no, in quelle ore non siamo stati soli. E quando il settimanale satirico è tornato in edicola, è andato immediatamente esaurito anche negli Stati Uniti. Dove quell'umorismo blasfemo non piace affatto, ma si è capaci di difendere la libertà degli altri.
Una sola assenza ha guastato questa confortante ondata di solidarietà. Alla marcia dei capi di Stato a Parigi, accanto a François Hollande c'erano David Cameron, Angela Merkel, Benjamin Netanyahu, Mahmoud Abbas. Barack Obama non c'era, e non c'era nemmeno il Vice Presidente Joe Biden, né il Segretario di Stato John Kerry. È un vero peccato.
Vent'anni fa, tre giorni dopo il massacro di Srebrenica, l'allora presidente francese Jacques Chirac (non certo un attivista nella difesa dei diritti umani) poté permettersi di sfottere Bill Clinton affermando che "il seggio di leader del mondo libero è ora vacante". Vista ora in retrospettiva, la leadership internazionale di Clinton, sia pure con tutte le sue incertezze e le sue goffaggini, si fa rimpiangere amaramente, al confronto con l'inconsistenza di Barack Obama. Ora sì, che il seggio di leader del mondo libero è vacante. L'America non ha un leader, e perciò non lo abbiamo nemmeno noi. Ma il mondo libero, sebbene nave senza nocchiero in gran tempesta, ancora esiste. Qualcosa succederà, qualcuno si farà avanti. È nelle cose.
L'ironia della sorte ha voluto che negli stessi giorni uscisse nelle sale cinematografiche l'ultimo capolavoro di Clint Eastwood, "American Sniper". La storia di un uomo che si rifiuta di tirarsi indietro di fronte alla chiamata alle armi contro "il Male". In una scena del film, il protagonista si sente chiedere dalla moglie se desidera morire, poiché insiste nell'andare volontario al fronte anziché restare a casa con la famiglia. Lui risponde di no, che vuole vivere. Ma al fronte ci va lo stesso. E ha ragione. La morte prima o poi arriva: non possiamo scegliere di farne a meno.Possiamo, spesso, scegliere se vivere - e morire - per qualcosa. Amando ciò che siamo. Coltivando e difendendo la nostra libertà e quella del nostro prossimo. Il seggio è vacante, ma non potrà rimanerlo a lungo.
Uscito su Strade

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