"Il testo del discorso alla Porta di Brandeburgo è ora migliore del precedente, ma lo staff resta all'unanimità dell'idea che anche così si tratta di un discorso mediocre, e di un'occasione sprecata". Così si legge nelmemorandum che il 2 giugno del 1987 gli analisti del Consiglio per la Sicurezza nazionale inviarono a Colin Powell, all'epoca viceconsigliere alla Sicurezza Nazionale, per prendere definitivamente le distanze dal testo del discorso che il Presidente Reagan si accingeva a pronunciare a Berlino, di fronte al famigerato Muro nel tratto che correva davanti alla Porta di Brandeburgo.
Paradossalmente, la viva insoddisfazione che gli "esperti" ribadivano era dovuta proprio a quel passaggio che avrebbe fatto di quel discorso un momento storico, forse il più emblematico di tutta la presidenza Reagan. l'invito/sfida a Mikail Gorbachov a "buttare giù" il Muro di Berlino per dimostrare la sincerità delle proprie prese di distanza dal tradizionale totalitarismo sovietico. Il National Security Council aveva vanamente tentato di depennare integralmente tutta quella parte del discorso, come si vede nell'originale della bozza.
E invece quel passaggio "incriminato" rimase, per volontà dello stesso Reagan che decise di fregarsene delle remore dei cervelloni della realpolitik e seguì il suo istinto di leader, di statista... e di attore. Quale delle due visioni fosse realmente "mediocre", la Storia non avrebbe tardato a mostrarlo. Ecco la bozza del testo definitivo, leggermente scarabocchiata da Reagan stesso per prendere nota delle pause nel pronunciarlo:
Ed ecco il filmato di quel fatidico momento del comizio:
Quel mitico discorso compie proprio oggi esattamente un quarto di secolo: venne pronunciato da Reagan il 12 giugno del 1987, nell'ultima tappa del suo ultimo viaggio in Europa da presidente, dopo aver vinto le ostinate resistenze di tutto l'establishment che lo circondava (non solo al NSC, ma anche al Dipartimento di Stato). Gli "esperti" ritenevano che quella frase di sfida potesse generare se non un incidente diplomatico quanto meno un raffreddamento nei negoziati con l'Unione Sovietica, all'epoca in corso per concordare la fine della corsa agli armamenti nucleari. Più in generale, ritenevano che in quel momento fosse opportuno praticare una linea realista di distensione, e quello era invece un discorso aggressivo tipico del Reagan "cowboy".
L'autore del discorso era Peter Robinson, un neolaureato che aveva fatto pratica come giornalista alla prestigiosa rivista conservatrice National Review, ed era stato da poco assunto alla Casa Bianca. Seguendo la propria formazione giornalistica, Robinson ad aprile aveva lavorato sul campo, al seguito della missione dei Servizi Segreti addetta a preparare il viaggio del presidente. Aveva parlato con la gente, aveva colto lo spirito che aleggava tra i berlinesi. Quando aveva incontrato John Kornblum, il più alto diplomatico americano a Berlino, si era visto consigliare di tenersi ben alla larga dall’argomento del Muro; ma avrebbe deciso di disobbedire, ed altrettanto avrebbe fatto il presidente.
Quattro giorni fa Robins ha rievocato quella vicenda sulle colonne del Wall Street Journal, rivendicando l'impatto che quel discorso ebbe per i dissidenti che a Est della Cortina di Ferro sentirono di non essere soli. Quest'oggi sulla testata antagonista New York Times il suo collega Ted Widmer, anche luispeechwriter per la Casa Bianca ma per l'amministrazione democratica di Bill Clinton, rievocando il 25ennale di quell'evento gle ne dà atto, osservando che il Muro cadde non solo ma anche grazie al "presidente che ebbe il buon senso di ignorare i consigli dei suoi consulenti". Chi voglia conoscere i dettagli della storia travagliata di quel discorso di Robins e di Reagan, la può leggere in forma godibilissima nel libro “The Rebellion of Ronald Reagan – a History of the End of the Cold War”, purtroppo mai tradotto in italiano, uscito tre anni fa in occasione del ventennale della caduta del Muro, scritto dal corrispondente del Los Angeles Times James Mann che cinque anni prima si era fatto notare con “The rise of the Vulcans”, una monografia sull’entourage di George W. Bush, e del quale esce proprio in questi giorni il nuovissimo "The Obamians", inchiesta sull'entourage del suo successore.
Quando Reagan lesse la bozza scritta da Robins, capì al volo che quella trovata era perfetta per scippare a Gorbaciov, che quell’anno aveva pubblicato il libro Perestroika per il quale veniva osannato dai media di mezzo mondo, la parte in commedia di “uomo del cambiamento”, e al contempo per mostrare che il Mondo Libero aveva ancora un leader ben intenzionato a vincere, del quale quindi poteva fidarsi anche se lo vedeva negoziare. Frank Carlucci, il National Security Adviser del presidente, anni dopo avrebbe ricordato quel momento storico ricordando di aver pensato: "Bella frase per un discorso. Ma non accadrà mai". Lo stesso Gorbaciov, destinatario diretto della frase cruciale, ha recentemente raccontato di non essersi scomposto: "sapevamo che come primo mestiere Reagan era stato un attore... non ci lasciammo impressionare". L'indomani, quel discorso non era una storia da prima pagina nè per il New York Times nè per il Washinton Post. Ma dall'altra parte del "Checkpoint Charlie", per i cittadini di Berlino Est che lo avevano potuto seguire tramite le emittenti radio e Tv dell'Ovest, quel discorso fu un raggio di sole e di speranza. E nel novembre del 1989, quando il Muro collassò sotto le loro picconate, le Tv di tutto il mondo lo avrebbero ripescato e rimandato in onda ad oltranza.
Uscito su Good Morning America
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