Sono passati quarant'anni. Alle due e mezza del mattino del 17 giugno del 1972, grazie alla segnalazione di un guardiano, cinque uomini vennero arrestati dalla polizia al quinto piano dell'Hotel Watergate a Washington DC, colti sul fatto mentre armeggiavano clandestinamente negli uffici della sede del Partito Democratico. Vennero trovati in possesso di microsipe, radio in grado di intercettare le frequenze della polizia ed altre diavolerie elettroniche per intercettazioni e registrazioni, e delle pistole a gas lacrimogeno. Uno di loro aveva il portafogli zeppo di banconote con numeri di serie in perfetta sequenza. Che non fossero semplici ladri era più che evidente. Ben presto si seppe che uno di loro era un ex dipendente della CIA che all'epoca lavorava nel comitato per la rielezione di Nixon, e che l'operazione di spionaggio che i cinque stavano conducendo era stata ordinata dallo staff del presidente. Di lì a poco si apprese anche che la Casa Bianca aveva tentato di insabbiare il tutto, e a quel punto la posizione del presidente, bel frattempo rieletto a gran maggioranza, risultò talmente compromessa da costringerlo alle dimissioni per scampare all'empeachement, primo ed unico caso nella storia degli Stati Uniti.
Fino al 31 maggio del 2005, quando la rivista Vanity Fair pubblicò sul suo sito web un articolo scritto direttamente dal legale del diretto interessato, nel quale si poneva fine ad “una delle grandi ossessioni del giornalismo del ventesimo secolo” rivelando che il misterioso informatore altri non era se non William Felt, il vicecapo del FBI all'epoca del Watergate. Non sapremo mai se le motivazioni di Felt siano state nobili (impedire che Nixon costringesse l'FBI a collaborare nell'insabbiamento) o meno (vendicarsi del presidente che non lo aveva nominato a capo del Bureau dopo la morte del mitico J. Hedgar Hoover del quale egli era stato a lungo un fedelissimo braccio destro – da notare che Hoover era morto appena sei settimane prima del Watergate, quindi in quell'estate del 1972 la frustrazione di Felt doveva essere bruciante). Gravemente malato (due ictus e l'Alzheimer), Felt dopo 33 anni aveva deciso di gettare la maschera, per non portarsi il suo segreto nella tomba e forse anche per regalare con i diritti per le interviste un po' di benessere economico ai suoi eredi (è morto 95enne nel dicembre del 2008).
Per il mito del Watergate come archetipo dell'impresa eroica del giornalista d'inchiesta quella rivelazione fu un duro colpo: Woodward (che anche sulla storia di Felt ha poi scritto un libro - “The Secret Man: The Story of Watergate's Deep Throat”) e Bernstein non avevano fatto che seguire le dritte di Felt, che dell'inchiesta era stato dall'inizio alla fine il deus ex machina. Da soli i due giornalisti non avrebbero fatto molta strada: il loro ruolo era stato principalmente quello di “buca delle lettere” per le soffiate di Felt, che li avevano messi a parte di quella che era, in realtà, l'indagine dell'FBI.
Inoltre, a costringere Nixon a rendere conto del suo operato scorretto era stato anche un altro personaggio, sconosciuto ai più anche perché non direttamente coinvolto nelle rivelazioni giornalistiche di Woodward e Bernstein e nelle relative mitizzazioni cinematografiche, ma determinante nella vicenda più di tanti articoli di giornale. Il suo nome era Alexander Butterfield , un giovane funzionario della West Wing dell'epoca, che testimoniando davanti alla commissione d'in chiesta del Senato nel luglio del 1973- e rispondendo alle domande di Fred Thompson, giovane senatore repubblicano del Tennessee nonché futura star della serie tv “Law & Order” e anche futuro aspirante candidato alla presidenza degli Stati Uniti, con pochissima fortuna - rivelò che Nixon alcuni mesi prima del Watergate aveva attivato un sistema di registrazione audio permanente in tutte le stanze della Casa Bianca.
Ne scaturì un braccio di ferro per costringere la Casa Bianca a mettere a disposizione degli inquirenti le registrazioni dei giorni del Watergate, richiesta contro la quale Nixon e i suoi opposero una strenua resistenza invocando il segreto di stato, finché la Corte Suprema non lo costrinse a capitolare. Due settimane dopo che gli fu ingiunto di consegnare le registrazioni si dimise dalla presidenza degli Stati Uniti. Guarda caso, su quei nastri magnetici, proprio nel punto che documentava la discussione del presidente con i suoi assistenti sull'operazione Watergate, gli inquirenti avrebbero trovato 18 minuti e mezzo di fruscìo per una “accidentale” cancellazione.
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