Mentre proseguono tra gli addetti ai lavori le speculazioni sulla scelta di Romney per il proprio candidato alla vicepresidenza, ieri un sondaggio caldo caldo CNN/ORC ha scompaginato i disegni degli esperti, che vedono favoriti chi Jeb Bush, chi Marco Rubio, chi Chris Christie e chi il senatore dell'Ohio Rob Portman, ed ha invece rivelato, a sorpresa, che il nome di gran lungo più gradito alla base repubblicana sarebbe quello di Condoleezza Rice, l'ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale ed ex Segretario di Stato (rispettivamente nella prima e nella seconda delle due amministrazioni di George W. Bush: prima donna afroamericana nella storia ad aver ricoperto queste cariche).
La percentuale di preferenza secondo questo sondaggio sarebbe del 26%, mentre il secondo più "votato" sarebbe Rick Santorum con il 21%, e a seguire Chris Christie e Marco Rubio a pari merito con il 14% (quindi quasi la metà della Rice). Gli altri nomi sono rimasti tutti sotto al 10%; il povero Portman non ha raggiunto nemmeno lo 0,5% (!).
Lo stesso sondaggio accredita Condi Rice di un sontuoso 80% quanto a popolairtà, quindi con ampio distacco da Santorum che - nel suo massimo picco di popolarità - è fermo al 65%, inseguito da Christie con il 55% (tutti gli altri sono sotto al 50%).
La 57enne Rice, che dopo le ultime elezioni presidenziali era tornata al suo vecchio mestiere di professoressa di scienze politiche all'Università di Stanford, in California (nel 1993, a soli 38 anni, ne era stata anche Rettore), e alla fine del 2011 ha pubblicato un librone (oltre 700 pagine) di memorie sulla sua esperienza di governo, dal titolo "No Higher Honor", per ora non tradotto in italiano, non risultava interessata a questa carica, ma ora il suo nome entra d'imperio nel toto-vice.
Colpisce tanta popolarità per un nome che si riteneva ancora strettamente legato alle sempre più impopolari guerre in Iraq e in Afghanistan. Peraltro sarebbe a dir poco impreciso associare puramente e semplicemente la Rice (che iniziò la sua carriera come sovietologa collaborando anche con l'amministrazione di Bush padre) alla politica estera interventista di Bush figlio, quale si è concretamente attuata nell'epoca post-Undici Settembre (la "Guerra al Terrorismo", i neoncoservatori, eccetera). In realtà la Rice è una intellettuale di scuola "realista", ed era stata originariamente ingaggiata da W. come regista di una politica estera molto meno interventista non solo di quella che lo stesso Bush, "aggredito dalla realtà", ha poi effettivamente intrapreso, ma anche di quella che prima di lui aveva attuato Bill Clinton, ed in polemica con la quale Bush si era presentato alle elezioni, promettendone una "più umile". Era stata la Rice a scrivere il biglietto da visita di quella che per i repubblicani avrebbe dovuto essere la politica estera americana del dopo-clinton, con un lungo articolo apparso sull'autorevole rivista Foreign Affairs nel gennaio del 2000, in cui proponeva di tornare a dare la priorità alla promozione dell’interesse nazionale, e snobbava le velleità umanitarie dell’interventismo clintoniano con queste parole: “usando l’esercito americano come una sorta di 911 mondiale" [911 è il numero telefonico del pronto intervento, come il nostro 113 - ndt] "ne riduce il potenziale, impantana i soldati nel ruolo di “peacekeeper”, ed alimenta presso le altre grandi potenze il timore che gli Stati Uniti abbiano deciso di attuare il concetto di “sovranità limitata” in giro per il mondo con il pretesto dei diritti umani”. Sta di fatto che nel suo nuovo libro la Rice non rinnega nessuna delle scelte di politica estera intraprese dalla amministrazione Bush, e anzi rivendica l'intervento militare in Iraq come «il preludio alla primavera araba», affermando che il crollo delle dittature in nordafrica sopraggiunto nel 2011 avrebbe «vendicato la tesi di Bush sulla necessità di esportare libertà e democrazia».