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"The culture war is back": così esordisce il sito web The Politico sulla sentenza del tribunale federale di San Francisco, qui egregiamente analizzata da Pasquale Annicchino, che ha decretato l'incostituzionalità del divieto di matrimoni omosessuali in California. Quando arriverà davanti alla Corte Suprema di Washington, la questione deflagrerà aprendo uno scontro ideologico del genere da cui l'attuale inquilino della Casa Bianca è solito tenersi alla larga con lo stesso impegno con il quale il suo predecessore amava sguazzarvi.
Ha un che di avvincente ripercorrere le tappe che hanno portato sin qui.
Nel 2000 i cittadini di quello Stato approvano - con una maggioranza del 61%, quindi anche con il voto di molti elettori democratici - il referendum propositivo “Proposition 22”, che introduce nel diritto di famiglia californiano la definizione del matrimonio come “unione fra un uomo e una donna”.
Trascorso un lustro, una prima volta nel 2005 e una seconda nel 2007, il parlamento locale di Sacramento approva una legge di segno diametralmente opposto che – primo caso nella storia degli Stati Uniti – ridefinisce il matrimonio come “contratto di diritto civile tra due persone”. Per due volte la legge viene approvata; e per due volte il governatore Schwarzenegger esercita il suo potere di veto, annullandola in difesa della volontà popolare espressa con il referendum del 2000.
Il terzo round nel giugno del 2008: la Corte Suprema della California annulla come incostituzionale (rispetto alla Costituzione californiana) la legge approvata dagli elettori nel 2000. Viene così una prima volta introdotta per via giudiziaria la possibilità di celebrare in quello Stato veri e propri matrimoni fra coppie omosessuali.
La questione viene messa nuovamente ai voti nel novembre 2008, il giorno dell’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca. Il nuovo referendum, “Proposition 8” (che l’allora candidato democratico, pur dicendosi “personalmente” più favorevole al compromesso del riconoscimento delle unioni civili, condanna come “discriminatorio”), chiede di reintrodurre la stessa norma approvata con il “Proposition 22”, ma stavolta non con legge ordinaria, bensì con un emendamento alla Costituzione dello Stato, in modo da sottrarla al potere interpretativo dei giudici costituzionali del Golden State. Mentre la gran maggioranza (oltre il 60%) dei cittadini californiani dà il proprio voto elettorale a Barack Obama, una maggioranza più esigua ma comunque assoluta del medesimo elettorato (oltre il 52%) approva il referendum, sicché il matrimonio gay sparisce nuovamente dall’ordinamento giuridico californiano - eccezion fatta per i circa diciottomila matrimoni freneticamente celebrati nel semestre intercorso tra la sentenza della Corte e l’approvazione del referendum, tutt’oggi validi.
Ultimo capitolo. Nel maggio del 2009, le signore Kristin Perry e Sandra Steir chiedono all’Anagrafe della Contea di Alameda di registrare il loro matrimonio. Non un atto estemporaneo, ma il primo passo di una precisa strategia pianificata da un team animato da Chad Griffin, uno dei principali strateghi politici del movimento gay statunitense. L'inevitabile rifiuto viene impugnato davanti al Tribunale federale di San Francisco, dando vita al “caso Perry contro Schwarzenegger”, conclusosi con la sentenza della settimana scorsa.
Il terzo round nel giugno del 2008: la Corte Suprema della California annulla come incostituzionale (rispetto alla Costituzione californiana) la legge approvata dagli elettori nel 2000. Viene così una prima volta introdotta per via giudiziaria la possibilità di celebrare in quello Stato veri e propri matrimoni fra coppie omosessuali.
La questione viene messa nuovamente ai voti nel novembre 2008, il giorno dell’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca. Il nuovo referendum, “Proposition 8” (che l’allora candidato democratico, pur dicendosi “personalmente” più favorevole al compromesso del riconoscimento delle unioni civili, condanna come “discriminatorio”), chiede di reintrodurre la stessa norma approvata con il “Proposition 22”, ma stavolta non con legge ordinaria, bensì con un emendamento alla Costituzione dello Stato, in modo da sottrarla al potere interpretativo dei giudici costituzionali del Golden State. Mentre la gran maggioranza (oltre il 60%) dei cittadini californiani dà il proprio voto elettorale a Barack Obama, una maggioranza più esigua ma comunque assoluta del medesimo elettorato (oltre il 52%) approva il referendum, sicché il matrimonio gay sparisce nuovamente dall’ordinamento giuridico californiano - eccezion fatta per i circa diciottomila matrimoni freneticamente celebrati nel semestre intercorso tra la sentenza della Corte e l’approvazione del referendum, tutt’oggi validi.
Ultimo capitolo. Nel maggio del 2009, le signore Kristin Perry e Sandra Steir chiedono all’Anagrafe della Contea di Alameda di registrare il loro matrimonio. Non un atto estemporaneo, ma il primo passo di una precisa strategia pianificata da un team animato da Chad Griffin, uno dei principali strateghi politici del movimento gay statunitense. L'inevitabile rifiuto viene impugnato davanti al Tribunale federale di San Francisco, dando vita al “caso Perry contro Schwarzenegger”, conclusosi con la sentenza della settimana scorsa.
Il collegio legale ingaggiato per patrocinare la causa è un capolavoro di comunicazione politica: ne è a capo Ted Olson, celebre avvocato conservatore che difese Ronald Reagan durante lo scandalo Iran-Contra, e poi fu il difensore di Bush figlio quando questi si scontrò con Al Gore davanti alla Corte Suprema sull’esito delle elezioni presidenziali del 2000 (Bush lo nominò poi solicitor general, il capo dell’Avvocatura dello Stato). Olson - che si è risposato a 63 anni suonati, dopo aver perso la prima moglie nella strage dell’11 settembre 2001 (viaggiava sull’aereo dirottato sul Pentagono) - ha spiegato di non considerare questa una battaglia “di sinistra”, ma al contrario un colpo di coda conservatore, nel senso che il valore di una istituzione tradizionale come il matrimonio viene riconosciuto anche dalla comunità gay al punto da chiedere di potervi accedere.
Come co-difensore si è scelto (o ritrovato?) David Boies, famoso avvocato di area democratica: nel 2000 rappresentò Al Gore nella causa contro Bush davanti alla Corte Suprema, venendo sconfitto proprio da lui.
I repubblicani erano ben consci dell'esistenza di questa “falla di sistema”ed avevano tentato di mettere le mani avanti nel 2006, con il “Federal Marriage Amendment” che sarebbe intervenuto sulla Costituzione USA analogamente a come il “Proposition 8” fece con quella californiana. La legge venne però bocciata dal Senato, anche grazie alla defezione di alcuni senatori repubblicani (tra essi il futuro candidato alla casa Bianca John McCain), molti dei quali votarono contro non perché favorevoli al matrimonio gay, bensì perché ostili alla intromissione del potere legislativo “centrale” in una materia riservata all’autonomia legislativa dei singoli Stati.
Stante questa autonomia, il matrimonio gay oggi è già garantito in Massachusetts, in Connecticut, in Iowa, nel Vermont e nel New Hampshire, nonché nel Distretto di Columbia cioè a Washington.
Il vero problema è che vince sempre in tribunale, ma esce sempre sconfitto dalle urne. E' stato sottoposto a referendum in ben 31 dei 50 Stati, incluso il progressista New York; e in tutti – diconsi: tutti! – i 31 casi è stato inesorabilmente bocciato dagli elettori (in occasione delle ultime elezioni referendum analoghi a quello Californiano si sono tenuti in Florida e in Arizona, con esito identico).
Va anche detto che le unioni civili sono riconosciute in cinque stati (tra i quali proprio la California, dove si chiamano “Domestic Partnership”), il che consente alle coppie gay l’accesso a benefici altrimenti riservati ai coniugi sotto il profilo del welfare, del fisco e della privacy. Inoltre in una dozzina di Stati, tra i quali New York, la Florida e la stessa California, le coppie omosessuali hanno la possibilità di adottare figli (la coppia lesbica protagonista della causa “Perry contro Schwarzenegger” ne sta allevando quattro tutti adottivi).
La posta in gioco è quindi rappresentata dai ventisette Stati in cui le nozze gay sono bandite, i quali non sono tenuti a riconoscere i matrimoni omosessuali celebrati in altri Stati, grazie al “Defense of Marriage Act” approvato nel 1996 (in piena era Clinton, ma con il Congresso saldamente in mano ai repubblicani).
C'è stato anche un tentativo di “clonare” l’impresa qui in Italia, quando nell’aprile del 2009 il Tribunale di Venezia, per decidere una causa promossa da una coppa gay contro il Comune lagunare che aveva loro rifiutato la pubblicazione di matrimonio, rimise alla Corte Costituzionale la questione di legittimità degli articoli del nostro codice civile che impediscono le nozze tra omosessuali. Nei mesi seguenti si accodarono la Corte d’Appello di Trento e quella di Firenze, ed il Tribunale di Ferrara. Non coincidenze, ma una campagna portata avanti, sotto l’insegna di “Affermazione Civile”, dall’associazione "Certi Diritti" legata al partito radicale. Nell’aprile di quest'anno la Corte Costituzionale ha rigettato tutti i ricorsi, affermando che il riconoscimento delle coppie omosessuali è sì una aspirazione che trova fondamento nella nostra Costituzione, ma che può ben essere realizzata con strumenti diversi dalla vera e propria equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, per cui non sta ai giudici imporla in via interpretativa, ma al Parlamento sceglierla legifernado.
Come co-difensore si è scelto (o ritrovato?) David Boies, famoso avvocato di area democratica: nel 2000 rappresentò Al Gore nella causa contro Bush davanti alla Corte Suprema, venendo sconfitto proprio da lui.
I repubblicani erano ben consci dell'esistenza di questa “falla di sistema”ed avevano tentato di mettere le mani avanti nel 2006, con il “Federal Marriage Amendment” che sarebbe intervenuto sulla Costituzione USA analogamente a come il “Proposition 8” fece con quella californiana. La legge venne però bocciata dal Senato, anche grazie alla defezione di alcuni senatori repubblicani (tra essi il futuro candidato alla casa Bianca John McCain), molti dei quali votarono contro non perché favorevoli al matrimonio gay, bensì perché ostili alla intromissione del potere legislativo “centrale” in una materia riservata all’autonomia legislativa dei singoli Stati.
Stante questa autonomia, il matrimonio gay oggi è già garantito in Massachusetts, in Connecticut, in Iowa, nel Vermont e nel New Hampshire, nonché nel Distretto di Columbia cioè a Washington.
Il vero problema è che vince sempre in tribunale, ma esce sempre sconfitto dalle urne. E' stato sottoposto a referendum in ben 31 dei 50 Stati, incluso il progressista New York; e in tutti – diconsi: tutti! – i 31 casi è stato inesorabilmente bocciato dagli elettori (in occasione delle ultime elezioni referendum analoghi a quello Californiano si sono tenuti in Florida e in Arizona, con esito identico).
Va anche detto che le unioni civili sono riconosciute in cinque stati (tra i quali proprio la California, dove si chiamano “Domestic Partnership”), il che consente alle coppie gay l’accesso a benefici altrimenti riservati ai coniugi sotto il profilo del welfare, del fisco e della privacy. Inoltre in una dozzina di Stati, tra i quali New York, la Florida e la stessa California, le coppie omosessuali hanno la possibilità di adottare figli (la coppia lesbica protagonista della causa “Perry contro Schwarzenegger” ne sta allevando quattro tutti adottivi).
La posta in gioco è quindi rappresentata dai ventisette Stati in cui le nozze gay sono bandite, i quali non sono tenuti a riconoscere i matrimoni omosessuali celebrati in altri Stati, grazie al “Defense of Marriage Act” approvato nel 1996 (in piena era Clinton, ma con il Congresso saldamente in mano ai repubblicani).
C'è stato anche un tentativo di “clonare” l’impresa qui in Italia, quando nell’aprile del 2009 il Tribunale di Venezia, per decidere una causa promossa da una coppa gay contro il Comune lagunare che aveva loro rifiutato la pubblicazione di matrimonio, rimise alla Corte Costituzionale la questione di legittimità degli articoli del nostro codice civile che impediscono le nozze tra omosessuali. Nei mesi seguenti si accodarono la Corte d’Appello di Trento e quella di Firenze, ed il Tribunale di Ferrara. Non coincidenze, ma una campagna portata avanti, sotto l’insegna di “Affermazione Civile”, dall’associazione "Certi Diritti" legata al partito radicale. Nell’aprile di quest'anno la Corte Costituzionale ha rigettato tutti i ricorsi, affermando che il riconoscimento delle coppie omosessuali è sì una aspirazione che trova fondamento nella nostra Costituzione, ma che può ben essere realizzata con strumenti diversi dalla vera e propria equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, per cui non sta ai giudici imporla in via interpretativa, ma al Parlamento sceglierla legifernado.
Se la versione italiana è stata un flop, l’originale a stelle e strisce è partita sotto tutt'altro auspicio; ma la strada è ancora tutta in salita per Olson e Boies: davanti alla Corte Suprema il voto di un singolo giudice potrebbe fare la magigoranza di 5 a 4. Gli occhi sono puntati sull'imprevedibile Anthony Kennedy. Nel 2003 era stato il voto decisivo – e l’estensore - della sentenza con la quale la Corte decretò l’incostituzionalità della legge del Texas che vietava la sodomia, facendo “saltare” tutte le leggi contro la pratiche omosessuali sino ad allora vigenti in svariati Stati del Sud. Prossimamente potrebbe tornare a fare da ago della bilancia.