Tre mesi fa Bob Kagan accusava Obama di eccesso di realpolitik, e lo esortava provocatoriamente a distinguersi da Bush implementando finalmente una vera "freedom agenda", anziché dismettendola anche sul piano retorico.
Adesso dice che Obama è "il presidente più wilsoniano dell'ultimo secolo", cioé il meno incline alla realpolitik.
Da notare che Kagan ha speso gli ultimi quindici anni nel tentativo di convincere i repubblicani che non bisogna temere di passare per "wilsoniani" (cioé per internazionalististi idealisti): partì proprio dalla critica a questo "tic" quando nel 1996 pubblicò a quattro mani con Bill Kristol quello che può essere considerato il primo vero manifesto della politica estera "neocon" (e in cui scaltramente aggirava l'ostacolo definendo "neo-reaganiana" la politica estera che un repubblicano standard avrebbe disdegnato come neo-wilsoniana); e tre anni fa pubblicò un pamphlet in cui, incornando a testa bassa l'antico luogo comune che vede nell'isolazionsimo l'atteggiamento più "tradizionalmente" americano in politica estera, teorizzava che quella comunemente definita come "wilsoniana", è invece la politica estera più autenticamente americana, mentre ad essere un-american sarebbe proprio la realpolitik.
Ora, il corsivo che il nostro ha firmato domenica scorsa ha il retrogusto di una consacrazione un tantino fettolosa.
Anzi: decisamente troppo frettolosa, e probabilmente presto destinata ad ulteriori, imbarazzate smentite od auto-smentite, come in questi giorni è già capitato a quelli del WSJ (vedi la puntuale segnalazione di Fede Punzi).
La verità è che non esiste ancora una "Dottrina Obama", non c'è ancora una chiara e definita "idea di fondo" che definisca le linee guida della politica estera dell'attuale amministrazione.
E quindi, tutti gli aspiranti "autori" si agitano per mettere il proprio cappello sulla testa di un personaggio che, per ora, si presta ancora ad essere interpretato in molti modi.
How long?
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