martedì 22 maggio 2012

OBAMA CONTRO ROMNEY: CHI HA PAURA DEL CAPITALISMO?

Si fa sempre più interessante - ed a suo modo istruttivo, anche per la "Vecchia Europa" - il dibattito che sta montando attorno al nuovo attacco che il Team Obama ha lanciato contro lo sfidante Mitt Romney, dipingendolo come un cinico affarista senza scrupoli per via dei suoi esordi negli anni Ottanta come manager della Bain Capital, una società di private equity, specializzata cioé nelle ristrutturazioni aziendali non di rado realizzate usando l'ascia, non il bisturi: si rileva un'azienda decotta sull'orlo del fallimento, si taglia, si licenzia molta gente, si cambia il suo modo di fare business. Se l'azienda sopravvive alla cura da cavallo riparte, e allora la si rivende ad un prezzo molto, molto maggiore di quella cui la si era comprata; se non sopravvive pazienza, tanto probabilmente sarebbe fallita comunque.

In particolare, l'attacco è stato sferrato lanciando uno spot negativo di taglio documentaristico, basato su interviste agli operai di una acciaieria che vennero lasciati senza lavoro nell'ambito di una ristrutturazione targata Bain-Romney. Eccolo: 
Questo spot sta andando in onda con frequenza crescente sulle emittenti televisive di alcuni cruciali swing-state (a cominciare dall'Ohio), ed è stato messo in rete con un apposito sito web, “RomneyEconomics.com”. Chi aveva seguito con attenzione le primarie repubblicane lo troverà probabilmente un tantino familiare: qualcosa di molto simile si era infatti già visto a gennaio, quando, negli stessi giorni in cui l'Economist dedicava la sua cover-story a Romney possibile futuro “Amministratore dell'azienda America”, Newt Gingrich e Rick Perry, suoi rivali nella competizione (allor aancora decisamente aperta) per la candidatura presidenziale, avevano attaccato il frontrunner accusandolo, esattamente per la stessa ragione, di essere “un avvoltoio”.
Gingrich fece addirittura realizzare – per tramite di un comitato fiancheggiatore, dal quale prese poi ipocritamente le distanze – un vero e proprio documentario di mezz’ora in perfetto stile Michael Moore , dal titolo “When Mitt Romney came to town” , in cui quello che un domani sarebbe divenuto il candidato repubblicano alla Casa Bianca veniva ritratto come un serial killer di posti di lavoro. Quel documentario è ancora in rete su YouTube, anche se l'apposito sito web con il quale era stato lanciato (al caustico indirizzo “Kingofbain.com”) è ora offline. Gingrich (e Perry) vennero duramente criticati per quegli attacchi venati di populismo anticapitalista, decisamente inconsuenti nel partito di Reagan. Rudy Giuliani – che un domani avrebbe dato il suo endorsement a Romney, ma all'epoca era considerato molto più vicino più vicino a Gingrich e a Perry, li definì “stupidi e ignoranti” : “di questo passo ci ridurremo ad andare a scuola di capitalismo dai cinesi”.
Era ovvio che l'argomento sarebbe stato rispolevrato nella campagna elettorale generale dai democratici, i quali del resto già l'anno scorso avevano speriomentato una piccola anteprima con uno spot di taglio decisamente più satirico (giocato in parte sulla parodia del celebre "Morning in America" di Reagan) nel quale Romney veniva appaiato, in un grottesco immaginario ticket elettorale, al Gordon Gekko protagonista negativo del film Wall Street di Oliver Stone - rimasto celebre per massime del tipo “o si funziona o si è eliminati”, “l’avidità è bene, l’avidità è giusta, l’avidità funziona” e “l’avidità salverà quella azienda dissestata che risponde al nome di Stati Uniti d’America”.

A rivederlo ora, quello spot, sembra che siano trascorsi giorni, non mesi:
Ma torniamo ai nostri giorni, e alle ultime ore. Domenica il quotidiano conservatore Wall Street Journal è uscito con un editoriale difensivo
nel quale gli attacchi di Obama vengono irrisi perché volti a diffondere l'idea assurda che le operazioni di private equity della Bain consistano in speculazioni che portano alla distruzione delle aziende, e quindi dei posti di lavoro, il che mal si concilia con il dato di fatto del successo quasi trentennale della Bain stessa, la quale evidentemente riesce anche a “salvare” molti posti di lavoro, altrimenti non sarebbe tutt'ora sulla breccia come in effetti essa è.

Più o meno lo stesso argomento è stato usato ieri dalla Bain medesima, la quale – caso davvero inconsueto di un'azienda che “si difende” da uno spot elettorale del Presidente degli Stati Uniti – ha diramato un comunicato di precisazioni sulla reale natura delle ristrutturazioni cui alludono i nuovi spot pro Obama.

Nel pomeriggio di ieri Obama, incalzato dai giornalisti (ma anche dalle aspre critiche espresse da Cory Booker, giovane e popolarissimo sindaco democratico di Newark, la principale città del New Jersey), si è pronunciato personalmentre sul tema, durante la conferenza stampa a chiusura del vertice NATO a Chicago. La sua presa di posizione è stata molto netta:
La mia visione è che la private equity è fatta per massimizzare i profitti e che, naturalmente, si tratta di una componente sana del libero mercato. L'ho sempre detto e lo ripeto: in quel settore lavorano tante brave persone, e accade a volte che esso rappresenti la capacità della nostra economia di creare nuovo impiego. Ma ciò non toglie che la loro priorità consiste nel massimizzare i profitti. Il che rileva in questa campagna elettorale nella quale il mio rivale, il Governatore Romney, rivendica come principale argomento a sostegno della sua candidatura presidenziale proprio la sua esperienza nel mondo degli affari. Non sta facendo campagna elettorale rivendicando quello che ha fatto come governatore del Massachusetts, sta invece dicendo: “io sono un uomo d'affari, e quindi io sì che so come far ripartire l'economia”. Ma quando fai il presidente, contrariamente a quando sei il manager di uno studio di private equity , il tuo lavoro non consiste semplicemente nel massimizzare i profitti. Il tuo lavoro consiste nell'immaginare come tutti, nel paese, possano avere davvero una opportunità.Il tuo lavoro è pensare a quei lavoratori che vengono lasciati per strada, a come fare a reinserirli nel mercato dal lavoro.
Questa argomentazione, con la quale Obama si è ben guardato dal criticare la private equity in sé e per sé, ma ha invece contestato alla radice che quel modo di amministrare possa essere adatto a governare il Paese, ha il suo punto di forza nella paura smepre più diffusa, cui l'America non era più abituata da decenni, di rimanere senza il lavoro; ha però anche un punto debole, che è la brama di molti elettori di soluzioni alternative a quelle consuete della politica tradizionale.
Oggi se ne occupa il commentatore del new York Times David Brooks, che nel suo corsivo sembra centrare in pieno la questione:
Gli studi di private equity non sono amabili, ma storicamente hanno costretto il capitalismo americano ad un rinascimento che l'ha rivitalizzato. Ora la domanda è: gli Stati Uniti proseguirannmo lungo questo percorso di rigorosa distruzione creativa? E nell'immediato, la nazione è disposta a prendere questa trasformazione del settore privato ed estenderla al settore pubblico? Perché oggi in America le società private operano in un modo radicalmente diverso da quello di 40 anni fa, mentre i settori dell'economia garantiti e dominati dall'intervento statale – istruzione, sanità e welfare state – operano ancora in un modo sbalorditivamente simile.
Se Brooks ha ragione, allora la scelta che gli elettori intraprenderanno a novembre ci dirà molto di dove sta andando l'America: di cosa ha più paura, e su cosa è ancora disposta a scommettere.

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