venerdì 27 aprile 2012

MISURE IMPRESSIONANTI


"Questo è il momento di prestare orecchio all'immortale consiglio di Teddy Roosevelt: 'Parla pacatamente e tieni in mano un grosso bastone'. Ve lo garantisco io: il presidente ce l'ha un grosso bastone. Ve lo garantisco".
Joe Biden, vicepresidente degli Stati Uniti d'America 
New York University, 26 aprile 2012
Ipse dixit. 
In altri luoghi e in altra epoca forse qualcuno l'avrebbe definito "celodurismo"...

giovedì 26 aprile 2012

OBAMA E "ROLLING STONE", STORIA DI UNA STORIA D'AMORE

Oops, they did it again. La "storia d'amore" tra Barack Obama e la mitica rivista Rolling Stone - da decenni una sorta di "bibbia" della controcultura pop-rock - vive in questi giorni un ritorno di fiamma, dopo i fuochi d'artificio del 2008 quando l'allora senatore dell'Illinois strappò la candidatura ad Hillary Clinton nelle primarie democratiche più lunghe e sanguinarie degli ultimi anni. Già allora il magazine rock per antonomasia diede il suo eplicito e convinto sostengo ad Obama, dedicandogli più e più volte l'onore di una copertina solitamente riservata a personaggi di altro genere come Sting, Madonna, i REM o i Red Hot Chili Peppers. 
La "prima volta" della sinergia tra il futuro 44esimo presidente e la rivista dei rockettari risale addirittura al febbraio del 2007, quasi un anno prima delle primarie, quando Obama non era ancora ufficalmente in lizza: Rolling Stone gli dedicò un servizio di sei pagine in cui si spiegava che Obama era il primo candidato veramente di sinistra e al contempo veramente cool dai tempi di Bobby Kennedy. Il titolo del pezzo doveva inizialmente essere "Le radici radicali di Barack Obama", ma poi per non creargli problemi venne sostituito con il più celebrativo "Destiny's Child", il Figlio del Destino (titolo oltretutto molto digeribile per i lettori della rivista perché giocato sul nome di un complesso femminile R&B degli anni Novanta, quello in cui aveva debuttato la vocalist Beyoncé).
Da lì in poi Rolling Stone ha tirato la volata ad Obama moltissime volte. Memorabile la copertina dell'endorsement vero e proprio per le primarie - marzo 2008 - con tanto di aureola di santità come nei manifesti maoisti o nordcoreani, e titolo estatico "A New Hope", Una Nuova Speranza (mutuato da un film della serie Guerre Stellari, quasi a suggerire che Obama fosse il nuovo Luke Skywalker - da capire se l'Impero del male e la Morte Nera fossero Hillary, i Repubblicani...od entrambi) e pezzi al limite della crisi mistica ("rivoluzione fatta dalla gente", "chiamata della Storia", ecc).
Anche durante la presidenza di Obama qualche assist del genere c'è stato: ricordiamo ad esempio l'intervista servita come cover-story con il titolo"Obama Fights Back" nel settembre del 2010, nel tentativo di dargli una mano in vista delle elezioni parlamentari di mezzo termine (nelle quali prese invece una terribile batosta).
Ora, con l'avvio della campagna elettorale per la rielezione, Rolling Stone torna a fare la sua parte come ai vecchi tempi. La nuova copertina ci mostra un Obama rilassato e sorridente "Pronto per la Battaglia", e la cover-story è l'ennesima intervista "sdraiata", fatta il giorno di Pasqua (!), che dà modo al presidente di spiegare che i problemi del budget sono tutti colpa dei repubblicani (intesi come i politici: gli elettori sono invece vezzeggiati perché eventuali loro voti in uscita saranno bene accetti), che la prima linea del GOP è attualmente una fetenzia, non come quattro anni fa quando il candidato era uno in gamba come John McCain (ovviamente quattro anni fa non c'era altrettanto affetto per l'antagonista, ma questo in campagna elettorale è il minimo sindacale), che non ci saranno novità a favore del matrimonio gay (cui Obama è contrario, anche se nell'intervista la cosa non viene detta in modo del tutto esplicito) ma l'elettorato gay è caldamente invitato a votare per lui perché ha rimosso il regolamento "Don't Ask, Don't Tell" che impediva agli omosessuali dichiarati di arruolarsi nell'esercito, che la marijuana non si legalizza ma perseguirne i consumatori "non è una priorità", e che lui è in favore del libero mercato ma il movimento "Occupy Wall Street" gli sta simpatico perché è giusto considerare anche la opportunità dell'intervento statale, combattendo l'idea che il governo sia il problema e non la soluzione (vecchio slogan di Reagan, anche se questo non viene detto  - presumibilmente per non giocarsi la possibilità di riprovare ogni tanto a proporre dei parallelismi con la sua rielezione nel 1984). Gli viene insomma passato un po' di tutto, a cominciare dall'accusa di voler smantellare lo Stato Sociale riportando il rapporto pubblico/privato ancora più indietro che agli anni Venti... rivolta da Obama contro un partito il cui candidato, da governatore del Massachusetts, aveva fatto per primo la stessa riforma "interventista" del sistema sanitario che Obama stesso ha poi realizzato a livello nazionale.
Questo assist di Rolling Stone giunge a termine di una settimana che Obama ha dedicato all'alettorato giovane, fatta di incontri con gli studenti universitari sul problema dei mutui per finanzirne le rette, ma anche di eventi puramente mediatici palesemente mirati a ridare un po' di carisma pop all'immagine del presidente - in primis l'ospitata al popolarissimo show televisivo di Jimmy Fallon, il fenomeno del momento (diciamo una versione giovane e giovanile di david Letterman), con il quale Obama si è anche esibito, accmpagnato dalla tostissima band The Roots, in un monologo musicale che potete degustare nel video qui sotto:

lunedì 23 aprile 2012

COSA MANCA A ROMNEY? LO SI LEGGE NEL BILANCIO DEL SUO FUNDRAISING


A giudicare dagli ultimi dati sulla raccolta di finanziamenti, le cose non vanno affatto bene per la candidatura alla Casa Bianca di Mitt Romney. Se infatti,come ben raccontava sabato Mario Platero,
il fundraising per la rielezione di Obama non brilla a confronto del 2008 (quando Obama aveva tagliato il traguardo dell'elezione avendo raccolto complessivamente 745 milioni, record storico assoluto), dato che il Presidente alla fine di marzo risulta aver raccolto solo 196 milioni di dollari quando quattro anni fa alla fine di marzo ne aveva raccolti 235, quello per l'elezione dello sfidante repubblicano ha problemi ancora più gravi.
Innanzitutto, il dato inerente il fundraising del comitato per la rielezione di Obama va mitigato sommandolo a quello dei soldi raccolti dal partito: il Comitato Nazionale Democratico ha infatti raccolto altri 150 milioni, circa il doppio di quelli raccolti nel 2008 .
Ma soprattutto, al netto dei soldi già spesi il comitato pro-Obama ha attualmente nelle proprie casse più di cento milioni di dollari, mentre quello pro Romney ne ha poco più di dieci milioni. In altre parole, oggi come oggi il budget a disposizione della campagna elettorale di Obama è ben dieci volte superiore a quello della campagna di Romney. Questo, beninteso, non perché Obama abbia raccolto dieci volte di più, ma perché Romney ha già dovuto spendere gran parte dei propri finanziamenti per sopravvivere a delle primarie molto lunghe nel corso delle quali ha spesso dovuto investire cifre da capogiro per sbaragliare Rick Santorum e gli altri antagonisti sul piano della propaganda (spot televisivi, ecc.). Comunque, anche al lordo di quanto poi speso, il comitato per la rielezione di Obama ha pur sempre raccolto iù del doppio di quanto raccolto da quello per l'elezione di Romney (157 milioni contro 74). Un divario imbarazzante, che certo potrà essere colmato se qualcosa si metterà in moto ora che Romney ha sostanzialmente vinto le primarie, ma che per ora fa apparire il candidato repubblicano decisamente zoppo.


Ma dai bilanci dei rispettivi comitati elettorali si evince anche un altro divario, che forse dovrebbe preoccupare ancora di più il Grand Old Party. 

giovedì 19 aprile 2012

ROMNEY-RICE 2012?

Mentre proseguono tra gli addetti ai lavori le speculazioni sulla scelta di Romney per il proprio candidato alla vicepresidenza, ieri un sondaggio caldo caldo CNN/ORC ha scompaginato i disegni degli esperti, che vedono favoriti chi Jeb Bush, chi Marco Rubio, chi Chris Christie e chi il senatore dell'Ohio Rob Portman, ed ha invece rivelato, a sorpresa, che il nome di gran lungo più gradito alla base repubblicana sarebbe quello di Condoleezza Rice, l'ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale ed ex Segretario di Stato (rispettivamente nella prima e nella seconda delle due amministrazioni di George W. Bush: prima donna afroamericana nella storia ad aver ricoperto queste cariche).

La percentuale di preferenza secondo questo sondaggio sarebbe del 26%, mentre il secondo più "votato" sarebbe Rick Santorum con il 21%, e a seguire Chris Christie e Marco Rubio a pari merito con il 14% (quindi quasi la metà della Rice). Gli altri nomi sono rimasti tutti sotto al 10%; il povero Portman non ha raggiunto nemmeno lo 0,5% (!).
Lo stesso sondaggio accredita Condi Rice di un sontuoso 80% quanto a popolairtà, quindi con ampio distacco da Santorum che - nel suo massimo picco di popolarità - è fermo al 65%, inseguito da Christie con il 55% (tutti gli altri sono sotto al 50%).
La 57enne Rice, che dopo le ultime elezioni presidenziali era tornata al suo vecchio mestiere di professoressa di scienze politiche all'Università di Stanford, in California (nel 1993, a soli 38 anni, ne era stata anche Rettore), e alla fine del 2011 ha pubblicato un librone (oltre 700 pagine) di memorie sulla sua esperienza di governo, dal titolo "No Higher Honor", per ora non tradotto in italiano, non risultava interessata a questa carica, ma ora il suo nome entra d'imperio nel toto-vice.

Colpisce tanta popolarità per un nome che si riteneva ancora strettamente legato alle sempre più impopolari guerre in Iraq e in Afghanistan. Peraltro sarebbe a dir poco impreciso associare puramente e semplicemente la Rice (che iniziò la sua carriera come sovietologa collaborando anche con l'amministrazione di Bush padre) alla politica estera interventista di Bush figlio, quale si è concretamente attuata nell'epoca post-Undici Settembre (la "Guerra al Terrorismo", i neoncoservatori, eccetera). In realtà la Rice è una intellettuale di scuola "realista", ed era stata originariamente ingaggiata da W. come regista di una politica estera molto meno interventista non solo di quella che lo stesso Bush, "aggredito dalla realtà", ha poi effettivamente intrapreso, ma anche di quella che prima di lui aveva attuato Bill Clinton, ed in polemica con la quale Bush si era presentato alle elezioni, promettendone una "più umile". Era stata la Rice a scrivere il biglietto da visita di quella che per i repubblicani avrebbe dovuto essere la politica estera americana del dopo-clinton, con un lungo articolo apparso sull'autorevole rivista Foreign Affairs nel gennaio del 2000, in cui proponeva di tornare a dare la priorità alla promozione dell’interesse nazionale, e snobbava le velleità umanitarie dell’interventismo clintoniano con queste parole: “usando l’esercito americano come una sorta di 911 mondiale" [911 è il numero telefonico del pronto intervento, come il nostro 113 - ndt] "ne riduce il potenziale, impantana i soldati nel ruolo di “peacekeeper”, ed alimenta presso le altre grandi potenze il timore che gli Stati Uniti abbiano deciso di attuare il concetto di “sovranità limitata” in giro per il mondo con il pretesto dei diritti umani”.
Sta di fatto che nel suo nuovo libro la Rice non rinnega nessuna delle scelte di politica estera intraprese dalla amministrazione Bush, e anzi rivendica l'intervento militare in Iraq come «il preludio alla primavera araba», affermando che il crollo delle dittature in nordafrica sopraggiunto nel 2011 avrebbe «vendicato la tesi di Bush sulla necessità di esportare libertà e democrazia».

mercoledì 18 aprile 2012

IL PRESIDENTE CHE MANGIO' UN CANE

Pareva proprio che Romney non si sarebbe mai riuscito a scrollare di dosso il fantasma di Seamus, il povero setter irlandese che nel 1983 si fece tutto il viaggio da Boston fino in Canada chiuso in una gabbietta legata sul tetto dell'automobile con la quale Mitt stava portando in vacanza la famiglia. Quell'immagine del candidato repubblicano alla Casa Bianca alla guida di un'auto con un cane legato sul tetto è talmente surreale da fornire spunti continui a comici e polemisti di ogni genere, ed è stata infatti tramutata in un vero e proprio tormentone dalla editorialista del New York Times Gail Collins, spesso rilanciato anche da David Letterman nel suo show televisivo.

Il tormentone era partito nel pieno delle primarie repubblicane, ma ben prima il Team Obama aveva già iniziato a giocarci senza troppi scrupoli: a gennaio, quando Mitt era ancora ben lontano dal chiudere la partita, David Axelrod, il guru elettorale del presidente, aveva postato su Twitter la foto di Obama seduto sul sedile dell'auto presidenziale abbracciato al fido cane Bo, con la perfida didascalia: "ecco come i padroni amorevoli fanno viaggiare i loro cani".
Giusto due giorni fa Mitt e la consorte Ann intervistati da Diane Sawyer sulla ABC si erano visti riproporre per l'ennesima volta quell'odioso, insignificante episodio - manco fosse davvero una cosa importante di cui parlare in campagna elettorale - e per la prima volta Mitt aveva dato segni di cedimento, ammettendo che oggi non lo rifarebbe (ma solo per via della "eccessiva attenzione" che la vicenda ha suscitato); ma per una volta che il marito aveva concesso una qualche forma di ritrattazione (proprio lui che si ostina sempre a non rinnegare mai nulla, nemmeno la sua famigerata riforma sanitaria in Massachusetts che è servita da modello pilota per quella nazionale di Obama, e non a caso ha intitolato il suo libro elettorale "No Apology", niente scuse) la moglie aveva prontamente preso le sue difese raccontando che al cane quell'incredibile modo di viaggiare piaceva moltissimo, che per l'entusiasmo si metteva a fare le feste come un matto non appena vedeva la gabbietta, perché capiva che i Romney lo stavano portando in vacanza con loro e sopra o sotto il tetto dell'auto era comunque meglio che stare due settimane in un canile.
Ebbene: proprio quando ormai pareva che durante la campagna elettorale generale contro Obama Mitt e famiglia sarebbero stati perseguitati dal tormentone canino tanto quanto lo erano stati durante le primarie, ecco all'improvviso giungere una salvifica ed insperata opportunità di rendere pan per focaccia - o forse dovremmo piuttosto dire can per focaccia - al presidente in carica.
Ieri sera il sito web The Daily Caller ha pubblicato un post decisamente perfido giocato su di una citazione ripescata dal bestseller autobiografico“Dreams from My Father” che Obama scrisse diciassette anni fa prima di entrare in politica (e che un piccolo editore ha pubblicato in italiano nel 2007). Obama nel secondo capitolo del libro racconta della propria infanzia in Indonesia alla fine degli anni Sessanta, e ad un certo punto narra che stando con il patrigno indonesiano Lolo Soetoro

“Imparai a mangiare crudi per cena certi piccoli peperoncini verdi (con molto riso), e, fuori pasto, ebbi modo di assaggiare anche la carne di cane (dura), la carne di serpente (più dura), e la cavalletta arrosto (croccante)”
Apriti cielo: abbiamo un aspirante presidente che andava in vacanza con il cane legato sul tetto dell'auto, ma nell'altro angolo del ring abbiamo un presidente che il povero cane se l'è addirittura sbafato come merendina, e se ne vanta pure!
Nonostante queste due righe fossero di pubblico dominio da anni (per di più in un libro che ha venduto una marea di copie, e che quindi presumibilmente moltissimi hanno letto) e non avessero mai suscitato sino a ieri il benché minimo scalpore, in vista della campagna elettorale che in questi giorni sta cominciando a mettersi in moto non è parso vero ai sostenitori di Romney poter lanciare un contro-tormentone sul presidente divoratore di cani.  Su Twitter, sotto l'egida dell'hastag #ObamaDogRecipes, è prontamente partito il giochino goliardico di inventare calambour inserendo nomi di cani in ricette da suggerire per il desco della Casa Bianca. Lo staff del presidente ha tentato di tamponare postando a propria volta un augurio al caro Bo di passare alla Casa Bianca altri quattro anni; ma nulla ha potuto contro il contro-tormentone che da ieri impazza sul web.
Il colpo di grazia l'ha sferrato Eric Fehrnstrom, il portavoce elettorale di Romney (quello della gaffe della "lavagnetta magica"), che ha ri-postato su Twitter il tweet di Axelrod dello scorso gennaio, corredandolo però di questa sorniona didascalia, che sembra suggerire che quella mano affettuosa sul collo forse non sta facendo una coccola ma sta per tirare il collo come ad un pollo: "Con il senno di poi, una foto da brivido"...


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