mercoledì 15 luglio 2009

AFGHANISTAN, ALCUNI GIORNI DOPO

“Questa offensiva nella valle dell'Helmand, pur se "il rumore e la furia" degli sbarchi dei marines dagli elicotteri sono impressionanti, ha qualcosa di molto obamiano, il sapore di una mossa da giocatore di scacchi, non da duellante all'ultimo sangue. […] In questo primo "D-Day" obamaniano non correranno torrenti di sangue. […] Si tratta di un gesto assai più dimostrativo che sostanzioso, di una "strana guerra", condotta nella speranza di non dover fare davvero la guerra. […] Nell’universo di Obama la priorità appartiene sempre alla politica, non alla forza, e lo sbarco roboante di marines con colonna sonora delle pale dei grandi elicotteri Black Hawk nella valle dell'Helmand sembra una mossa politica”.
Vittorio Zucconi, La Repubblica, 3 luglio 2009


“Questo luglio potrebbe diventare il mese più insanguinato di tutti gli otto anni di Guerra in Afghanistan, a giudicare l’aumento dei morti sul fronte da quando i soldati statunitensi e britannici hanno dato inizio alla vasta operazione nella provincia di Helmand”.
Lancio Reuters, 15 luglio 2009


La morte del caporalmaggiore Di Lisio e la violenza in crescita contro i parà fanno parte del cambio di strategia in corso in Afghanistan. Prima americani e inglesi attaccavano dal centro in direzione dei confini: ai talebani era sufficiente riparare in Pakistan per poi affluire di nuovo verso il fronte. Ora americani e inglesi attaccano da sud e premono i talebani verso il centro del paese. Per questo le altre truppe Nato che prima giocavano un ruolo di controllo e retrovia ora si trovano in prima linea, a tagliare la strada ai guerriglieri che si spostano. Una delle rotte è quella che da Logar porta verso Kabul: ma nell’area circoscritta ci sono undicimila soldati. Un’altra rotta per scampare è quella da Helmand a nord verso Farah, l’area del comando ovest italiano. In questa seconda area, vasta come il nord Italia, i soldati Isaf sono soltanto 3.500 perché l’annunciato rafforzamento americano deve ancora arrivare. Il 29 maggio, i paracadutisti italiani hanno combattuto una battaglia contro guerriglieri ben armati, ben organizzati e con addestramento militare. Secondo fonti anonime, lo scontro – che non è stato ripreso molto dai media in Italia – ha lasciato sul terreno duecento morti”.
Daniele Raineri – Il Foglio, 15 luglio 2009

“La guerra, comunque la si voglia incartare, con o senza la stagnola blu delle UN, in formule di “peacekeeping”, “peace enforcing”, “aiuto”, “esportazione delle democrazia”, preventiva o reattiva, santa o empia, ha sempre questo curioso difetto. Fa molto male alla salute di chi vi partecipa. Si dovrebbe almeno dirlo prima di accenderla, come si fa sui pacchetti di sigarette. Le Forze Armate, come ha scritto il generale Colin Powell che di guerre ha fatte parecchie da combattente e da comandante e non è un fanatico, non sono fatte per costruire scuole e “aiutare le vecchiette ad attraversare la strada”, ma “per ammazzare persone e per distruggere cose”. Per questo può accadere di essere ammazzati o distrutti”.
Vittorio Zucconi, “Blog del Direttore” su Repubblica.it, 14 luglio 2009

“Alla fine, con il sangue di Di Lisio è stato scritto ieri l’ennesimo avvertimento ai naviganti italiani che non vogliono prendere atto di molte verità. La principale è che la missione italiana è da tempo mutata, sia negli scopi che nel profilo regionale. La seconda è che questo mutamento avvenuto negli anni scorsi in maniera lenta e invisibile si è accelerato proprio da quando l’amministrazione Obama ha elevato l’Afghanistan a suo principale conflitto. […] La reazione locale è diventata più attiva perché più attiva è oggi la nostra iniziativa», concorda un diplomatico. Questa maggiore iniziativa ha come data, appunto, l’elezione di Barack Obama. Il Presidente che ha portato via i soldati Usa dall’Iraq, l’uomo che ha riaperto il dialogo con ogni possibile nemico, è invece convinto che l’Afghanistan è il Paese in cui si vincerà o si perderà la sicurezza americana".
Lucia Annunziata, la Stampa, 15 luglio 2009

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