“Sindaco Bloomberg, Lei con tutti i suoi soldi non riuscirà mai a creare l’entusiasmo e l’energia di cui abbiamo bisogno per avere l’affluenza elettorale necessaria a sconfiggere Donald Trump”. È stato facile profeta Bernie Sanders due settimane fa, nel puntare il dito contro l’ex sindaco di New York City, il quale ha speso mezzo miliardo di dollari (cifra folle e record storico, senza precedenti) per la sua candidatura alle primarie presidenziali democratiche basata totalmente sull’entrata tardiva “direttamente al Super Tuesday”, cioè ieri.
Si è trattato di un esperimento a dir poco spregiudicato, al limite del gioco d’azzardo: senza partecipare né ai caucus dell’Iowa, né alle primarie del New Hampshire, né ai caucus del Nevada né alle primarie del South Carolina, Bloomberg ha puntato tutto su una sua vittoria nel voto che si è tenuto simultaneamente nelle scorse ore in 14 stati (Alabama, Arkansas, California, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah, Vermont e Virginia). E invece ha perso pressoché ovunque: l’unica votazione da lui vinta risulta essere quella alle isole Samoa (che assegnano 6 delegati su 3979). Con gli spiccioli raggranellati nei tre o quattro stati nei quali, pur perdendo, ha comunque superato la soglia di sbarramento del 15%, dovrebbe attestarsi sulla quarantina di delegati – e quindi, a buon senso, dovrebbe por fine alla sua impresa nei prossimi giorni, se non già nelle prossime ore.
Ritirandosi, Bloomberg sgombrerà ulteriormente il campo alla candidatura di Joe Biden, il quale ieri ha già beneficiato dell’avvenuto ritiro, subito dopo il voto di sabato in South Carolina e proprio alla vigilia di questo del Super martedì, di Pete Buttigieg e di Amy Klobuchar, i quali gli hanno dato pubblicamente il loro endorsement durante un apposito comizio, ben orchestrato lunedì sera a Dallas.
Di fatto Biden rimarrà a questo punto l’unico candidato moderato in campo, ma soprattutto si confermerà il candidato sul quale punta l’establishment del Partito democratico, che forse sta riuscendo ad attuare contro la candidatura anti-establishment di Sanders ciò che il Partito repubblicano non riuscì a fare quattro anni fa contro la simmetrica scalata di Donald Trump.
Sanders, che fino a una settimana fa sembrava improvvisamente in testa in queste primarie, stanotte ha prevalso solo in Colorado, Utah, Vermont e California. Inoltre da alcuni stati giungono numeri ben inferiori a quelli delle primarie del 2016, che erano state un duello fra Sanders e Hillary Clinton, infine vinto da quest’ultima: in Minnesota quattro anni fa Sanders aveva vinto con il 61%, stanotte ha perso con il 30%; in Oklahoma aveva vinto con il 52%, e stanotte ha perso con il 25%; persino in California, uno dei pochi stati nei quali stanotte Sanders ha vinto, i primi dati parziali lasciano pensare che la sua percentuale risulterà inferiore di almeno dieci punti rispetto a quella del 46% con la quale aveva perso nel 2016.
Dati come questi mal si conciliano con l’affermazione, spesso circolata nelle scorse settimane, che Sanders avesse allargato la propria base. Presumibilmente una parte del suo problema è la competizione a sinistra con Liz Warren; il che però non chiude certo il discorso, dato che ad oggi pare che Warren, nonostante i risultati decisamente deludenti rispetto alle attese iniziali, per il momento non si ritirerà.
Tutto quindi al momento arride a Joe Biden, il quale ha vinto in Alabama, Arkansas, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee e Virginia, e soprattutto in Texas, che oltre ad essere il secondo stato per dimensione elettorale (e quindi per numero di delegati) comincia anche a essere considerato un possibile fronte di conquista nell’elezione generale a novembre (contrariamente alla California, che è in assoluto lo stato più grande, ma nell’elezione generale conta poco, essendo lì del tutto scontata la vittoria dei democratici, chiunque sia il candidato).
Insomma, Biden stanotte è improvvisamente tornato a essere il frontrunner. Certo, la partita è tutt’altro che chiusa, ma è pur vero che tra le prossime votazioni quella di maggior peso numerico (248 delegati, poco meno di quelli assegnati in Texas) ma anche la più cruciale politicamente (lo stato è spesso un ago della bilancia nell’elezione generale) è rappresentata dalle primarie della Florida, fra due settimane. E in Florida, si sa, conta moltissimo il voto degli anziani, che attualmente sembra molto più orientato verso Biden che verso Sanders.
Uscito su Wired