La notte del 6 novembre 2012 mi trovavo negli studi di SkyTg24 a commentare in diretta, assieme ad altri ben più qualificati analisti, lo spoglio dell’elezione del presidente degli Stati Uniti. Poiché regnava grande incertezza sull’esito, trovai giusto osservare che, qualunque esso fosse stato, quella suspense era già di per sé un fatto eclatante: la rielezione di un presidente al termine del suo primo mandato – qual era Barack Obama in quel momento – è infatti un evento del tutto fisiologico che rappresenta la pura e semplice normalità.
Tanto che, da almeno un secolo a questa parte, il solo ed unico caso di un presidente licenziato dopo soli quattro anni pur essendo stato inizialmente eletto in discontinuità con il suo predecessore (senza, quindi, che la sua mancata rielezione sia giustificabile con la naturale oscillazione del pendolo dell’alternanza fra i due partiti) è rappresentato dalla presidenza di Jimmy Carter, che non a caso è considerata la presidenza fallimentare per antonomasia: la sua mancata rielezione nel 1980 si può veramente considerare come un classico caso di eccezione che conferma la regola.
In questo senso, dissi, era un fatto notevole quello di trovarci a seguire lo scrutinio della sfida elettorale fra Obama e Mitt Romney con il fiato sospeso, anziché sbadigliando per la prevedibilità dell’esito (e non solo per la tarda ora). Non appena ebbi terminato di esporre queste considerazioni, vi fu un collegamento con un insigne professore di un’illustre università, il quale, con tono piccato, mi riprese – come solo un professore sa fare – facendo presente che Obama era sì al termine di un primo mandato presidenziale conferito con discontinuità politica rispetto al suo predecessore, ma era anche alle prese con un tasso di disoccupazione del 7,9%: e dai tempi di Franklin Delano Roosevelt nessun presidente uscente era più riuscito a ottenere la rielezione con un tasso di disoccupazione superiore così alto.
Beh, quel professore aveva ragione – e la sua ragione torna buona per parlare della principale corsa politica del 2020: quella per la Casa Bianca. È molto difficile stabilire fino a che punto la rielezione di Obama si dovette alla inadeguatezza del suo antagonista, e quanto fu invece aiutata dal fatto che quel tasso di disoccupazione, per quanto ancora molto alto, fosse pur sempre in calo rispetto al drammatico 9,5% del 2010. Sta di fatto che la rielezione di Obama fu al tempo stesso una conferma della regola cui accennavo prima, ma anche una storica smentita della presunzione di non rieleggibilità con disoccupazione superiore prossima all’8%.
A undici mesi dalla prossima elezione presidenziale, mi accade sempre più spesso di ripensare a quel confronto; e più ci ripenso, più stento a immaginare come Donald Trump possa mancare la propria rielezione il prossimo 3 novembre. Se infatti nel 2012 la disoccupazione al 7,9% non impedì la rielezione di Obama, cosa mai potrebbe trasformare Trump nella versione di destra di Jimmy Carter?
La vulgata, quando si parla dell’elezione presidenziale del 1980, individua solitamente il fattore determinante nella crisi degli ostaggi in Iran; ma di certo Carter non fu aiutato nemmeno dalla disoccupazione al 6,9% e in crescita (fattore, quest’ultimo, da non trascurare: Reagan quattro anni più tardi sarebbe stato rieletto proclamando che era “di nuovo mattina in America” con il tasso di disoccupazione a 7,7%, ma in calo).
Ebbene: per quanto riguarda Trump, il fattore occupazionale non potrebbe essere più favorevole alla rielezione. Da settembre il tasso di disoccupazione è infatti sceso al 3,5%, il livello più basso registrato nell’ultimo mezzo secolo, cioè dai tempi dello sbarco sulla Luna e del festival di Woodstock. In cinque stati in particolare (Alabama, California, Illinois, New Jersey e South Carolina) la disoccupazione è scesa al livello più basso mai rilevato.
Secondo un recente sondaggio della Cnn, la percentuale degli americani che attualmente danno un giudizio positivo della situazione economica ha raggiunto il 75%: il dato più alto dal 2001.
Ora, anche se la storia non si fa con i se, trovo che non sarebbe fuori luogo chiedere di alzare la mano chi non ritiene che anche Carter nel 1980 con dati simili sarebbe stato rieletto, crisi degli ostaggi o no. Che la rielezione di Trump appaia auspicabile o meno, forse prima di azzardare pronostici e ipotizzare scenari toccherebbe partire da qui.
Uscito su Wired