“Qui da noi non c’è stato un referendum su Obama”, annunciava concitatamente poche ore fa la senatrice Mary Landrieu della Louisiana, parlando ai suoi sostenitori. Come dire: se però ci fosse stato, sarei stata spazzata via anch’io. Non è ancora stata rieletta: andrà al ballottaggio a dicembre. Ma è pur sempre una dei pochi Democratici “sopravvissuti” a quello che l’Huffington Post non ha esitato a definire “disastro” e “bagno di sangue”, ed anche il britannico Economist definisce “carneficina”.
I termini apocalittici si sprecano, ma non gratuitamente. Il
partito di Obama stanotte ha riportato una sconfitta di quelle che entrano nei
libri di storia. Io stesso in occasione delle elezioni di mezzo termine di quattro anni fa parlai di“Tsunami repubblicano”, e stanotte guardando affastellarsi i dati dello spoglio
mi chiedevo che termini avrei potuto usare per mantenere la proporzione.
Ecatombe? Armageddon? Molti ricorrono al colore: parlando di “onda rossa”, e in
effetti il rosso repubblicano (tinta che pure nella mappa delle midterm del 2010 non
scarseggiava di certo) ormai è praticamente ovunque.
Per tutta l’estate e per buona parte dell'autunno gli addetti ai lavori, anche i più capaci, si sono chiesti se i
repubblicani sarebbero riusciti a conquistare i sei fatidici seggi necessari
per aggiudicarsi (per la prima volta dal 2006) la maggioranza anche al Senato,
mantenendo quella alla Camera già espugnata nel 2010. Negli ultimi giorni,
però, sondaggi alla mano questo esito è parso sempre più scontato: il tema del
pronostico era divenuto più che altro la sua misura e la sua dinamica (il New
Yorker, ad esempio, già ieri ad urne aperte da poco aveva pubblicato un’analisi della vittoriarepubblicana ormai certa).
Alla fine, il bilancio provvisorio (la conta dei voti non è
ancora del tutto completata) è già da record: al Senato i Rep hanno conquistato almeno un
seggio più del necessario (North
Carolina, Colorado, Iowa, West Virginia, Arkansas, South Dakota e persino un
seggio in Montana che i Dem detenevano da oltre un secono), e anche alla Camera – dove giàconservare i “territori conquistati” nel 2010 sarebbe stato molto - la loro maggioranza non ha solo retto: si è significativamente
ampliata. Quando Obama si insediò nel 2009 i Dem avevano al Congresso 59
Senatori e 256 Deputati, e i repubblicani venivano descritti come sull’orlo
dell’estinzione (memorabile una cover story di TIME in questo senso); ora, cinque anni dopo, i Dem si avviano ad avere 44 senatori e qualcosa come
180-190 deputati. I repubblicani si ritrovano con la più ampia maggioranza al
Congresso dal dopoguerra, il che significa che la Casa Bianca non potrà più
fare quasi nulla senza il loro consenso.
Stavolta i repubblicani hanno vinto veramente tutto. Al di là di ogni previsione. La mappa é tutta rossa. #midterm pic.twitter.com/WfLITH6hph
— ALESSANDRO TAPPARINI (@aletapparini) 5 Novembre 2014
Se dalle elezioni parlamentari si passa a quelle deigovernatori (che contano moltissimo, non dimentichiamolo: gli USA si governano anche da lì), il conto che gli elettori americani hanno presentato al partito
del presidente è ancora più salato. I repubblicani hanno vinto praticamente
tutto quello che c’era da vincere: tutti gli Stati in bilico e anche qualche
Stato che tanto in bilico non era considerato. In Texas la Democratica Wendy
Davis, della quale vi avevano raccontato che aveva qualche possibilità di “far
diventare viola” lo Stato (cioè di spostarlo dal rosso repubblicano al blu
democratico – ma voi che mi leggete sapevate che era fuffa) non si è nemmeno avvicinata non dico alla vittoria, ma
nemmeno ad una sconfitta in qualche modo onorevole: ha perso con distacco di
circa venti punti percentuali, e – da femminista fieramente prochoice – non ha
prevalso nemmeno tra l’elettorato femminile, mentre tra gli elettori
latinoamericani (quelli che secondo la vulgata dovrebbero essere alla base del
fantomatico “spostamento a sinistra” del Lone Star State) ha riportato uno dei
risultati più deludenti degli ultimi 20
anni. In Florida, dove i Dem hanno candidato quel Charlie Christ che ai tempi
di Bush aveva governato lo Stato come repubblicano (e che aveva cambiato
casacca dopo essere stato stracciato da Marco Rubio nelle primarie per il
Senato), il governatore repubblicano Rick Scott – pur non essendo
particolarmente popolare – è riuscito a strappare la rielezione, anche grazie
al poderoso sostegno del governatore del New Jersey Chris Christie il quale ora
aggiungerà certamente questa vittoria al suo dossier di aspirante candidato
alla Casa Bianca. In Wisconsin il conservatore anti-sindacati Scott Walker,
altro aspirante candidato alla presidenza, che molti davano per politicamente
morto (suicida) già nel suo primo anno di governo, è stato trionfalmente
rieletto con quello stesso confortevole vantaggio di 7 punti con il quale aveva a suo tempo superato la
prova del recall. E in queste ore si
mostra già ben deciso a voler cavalcare questo successo per farsi candidare
alla Casa Bianca sulla base della comprovata “eleggibilità” di un conservatore
duro e puro come lui anche in un territorio tradizionalmente non troppo
inclinato verso destra. Persino a casa di Obama, nell’Illinois solitamente
dominato dalla famigerata machine della
Chicago Democratica, i repubblicani sono tornati al governo dopo più di dieci
anni.
E ora? Ora, al di là delle ovvie considerazioni sull'effetto "referendum", su Obama
“anatra zoppa” che non potrà più sottrarsi ai compromessi con i repubblicani
che sino ad ora non aveva saputo o voluto costruire, gli occhi di tutti sono su
Hillary Clinton.
Scusassero, qualcuno ha notizie di una vittoria
di un candidato "salvato" dall'appoggio dei #Clinton?
:) #midterm
#election2014
#Billary2016
—
ALESSANDRO TAPPARINI (@aletapparini) 5
Novembre 2014
Frettolosamente adottata dai media come prima “donna alla
Casa Bianca” in pectore (nonostante nel 2008 non le avesse portato bene), Hillary
ora si trova per le mani un partito allo sfascio, vincente solo in California,
nello stato di New York e in poche altre sparute roccaforti. Ma questo è il
meno: in fondo, ci sarebbe di buono che ora i Dem possono solo far meglio. Il
guaio peggiore sta nel fatto che Hillary e Bill in questa campagna elettorale
si erano molto spesi: sono andati a portare la loro benedizione (e gli aiuti
della mitica Clinton Machine) in
Floria, nel “loro” Arkansas, in Kentucky… quasi ovunque il loro apporto si è
dimostrato insufficiente. Certo, da qui a due anni può ancora succedere più o
meno qualsiasi cosa (in fondo anche le midterm del 2010 erano andate malissimo
per Obama, che però due anni dopo fu ugualmente rieletto - a onor del vero, però, le circostanze rendono queste midterm molto più simili a quelle del 2006, a parti invertite). Ma ad oggi lo
scenario arride ai repubblicani. Aspettatevi, nei prossimi giorni e nei
prossimi mesi, svariati “coming out” da parte di quegli esponenti del G.O.P.
che nel 2012 si tennero in disparte, e stavolta invece non vedono l’ora di
cimentarsi. Intanto, il più esuberante nel “trollare” su Twitter la povera
Hillary è senza dubbio il senatore del Kentucky Rand Paul, ansioso di
accreditarsi come uomo di riferimento dell’ala tea partier del partito:
You didnt think
it could get worse than your book tour? It did. Courtesy of the U.S. voters:
https://t.co/kGAZVFq7ze
pic.twitter.com/zABFStFM67
—
Senator Rand Paul (@SenRandPaul) 5
Novembre 2014
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