"In fondo l’America ha sempre avuto tutto. Perché noi dovremmo andare là e riuscire a fare soldi? Loro hanno già i loro gruppi. Cosa potremo dare loro che già non hanno?"
Si narra che McCartney confidasse queste ansie al mitico produttore Phil Spector, sul volo PanAm che, esattamente mezzo secolo fa, lo portava per la prima volta nel Nuovo Mondo assieme a John, George e Ringo.
Ricorre oggi il cinquantennale di quel primo sbarco dei Beatles in America, che cambiò per sempre la storia della musica. Prima che quei quattro ragazzi inglesi poco più che ventenni facessero quel tour negli Stati Uniti, il rock era un fenomeno squisitamente americano; dopo di allora, una volta che gli USA furono contaminati da quella che in Inghilterra già veniva definita beatlemania, prese il via la cosiddetta “British Invasion”, che aprì la strada ai Rolling Stones e a tutto quello che venne di conseguenza.
I Beatles atterrarono il 7 febbraio 1964 all’aeroporto che era appena stato ribattezzato John Fitzgerald Kennedy (dall’assassinio di JFK erano trascorsi appena 77 giorni), preso d’assedio da una folla impazzita per la prima volta nella sua storia.
“Moltiplicate Elvis Presley per quattro, sottraete sei anni dalla sua età, aggiungete un accento inglese ed un acuto senso dell’umorismo. La soluzione è: i Beatles (yeah, yeah, yeah)”. Così esordiva l’indomani la cronaca del New York Times, dove si spiegava che i quattro avevano buone probabilità di “divenire il prodotto di esportazione inglese di maggior successo dopo il cappello a bombetta”.
Il 9 febbraio si esibirono all’ “Ed Sullivan Show”, lo spettacolo televisivo della CBS che ogni sabato sera lanciava i nuovi idoli musicali della primissima generazione di teenager “televisivi”.
L’ingaggio per lo show, attorno al quale ruotava tutta quella breve tourné americana, era nato un po’ per caso: ad ottobre Sullivan si era trovato assieme alla moglie bloccato all’aeroporto di Heathrow a causa della folla impazzita che accoglieva i Beatles di rientro da un viaggio in Svezia. Impressionato, si era deciso a contattare il loro manager Brian Epstein (all’epoca 29enne) per “importarli” nelle ex colonie.
Lo show di Ed Sullivan andava in onda da un teatro di Broadway, che allora si chiamava Studio 50 e nel ’68 sarebbe stato ribattezzato “Ed Sullivan Theater”, nome che porta tutt’ora mentre funge da set per il non meno célèbre “Late Show with David Letterman” (in questi giorni, in onore del 50ennale, Letterman sta ospitando performance musicali a tema, per tutta la settimana).
Il debutto dei Beatles sulla TV americana totalizzò l’ascolto record di 73 millioni di spettatori, circa il 45% della popolazione, e fu seguito due giorni dopo – l’11 febbraio – da un concerto al “Coliseum” (il palazzetto dello sport) di Washington DC. attorniati a 360° da circa ottomila fans in preda al delirio, i Beatles si esibirono su di un palco posto a centrocampo, ruotando strumenti e amplificatori tra un brano e l’altro per rivolgersi poco a poco in tutte le direzioni.
L’indomani i quattro tornarono (in treno) a New York dove si esibirono alla Carnegie Hall; dopodiché volarono a Miami dove, il 16 febbraio, apparvero per il secondo sabato successivo all’Ed Sullivan Show, stavolta in via del tutto eccezionale in diretta dalla sala da ballo dell’Hotel Deauville di Miami Beach (il sabato successivo sarebbe andata in onda in differita una terza esibizione da loro appositamente preregistrata a New York).
Avendo debuttato da appena un mese nella autorevole classifica di Billboard (dopo che la californiana Capitol Records aveva cominciato a pubblicare i loro dischi, che precedentemente erano in commercio solo in Europa: negli USA era circolata alla radio qualche rara copia di importazione), in meno di due mesi da quel tour trionfale i Beatles si ritrovarono a detenerne improvvisamente tutte le cinque posizioni in vetta (rispettivamente con “Can’t Buy Me Love, con la cover di “Twist and Shout”, con “She Loves You”, con “I Want to Hold your Hand” e con “Please Please Me”).
Chissà, forse fu durante quel primo “sbarco” che John Lennon si innamorò di New York: la città dove si sarebbe ritirato a vivere con Yoko Ono dieci anni più tardi, dopo lo scioglimento del gruppo. E nella quale sarebbe stato assassinato, nel 1980. Ma questa è un’altra storia. Forse.
(uscito su The Post Internazionale)
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