Sono magicamente sparite tutte le rughe dal volto della ancora-non-ufficialmente aspirante “Madame President” Hillary Clinton, nell’immagine patinata che il settimanale New York ha appena usato per mettere in copertina la sua prima intervista dopo l’addio al Dipartimento di Stato.
Forse anche perché, pur di darle una mano, hanno ripescato un servizio fotografico vecchio di quasi tre anni, realizzato per il magazine Harper’s Bazar.
Ma ci sono rughe che nessun trucchetto fotografico può cancellare. Poche ore dopo la presentazione della nuova copertina del NYMag, un altro settimanale di riferimento dell’America liberal, il New Republic, ha sparato una cover story dedicata alle gesta del factotum- braccio destro di Bill Clinton, tale Doug Band, personaggio poco noto al grande pubblico ma potentissimo; vero e proprio organizzatore dell’entourage di Bill e, soprattutto, amministratore della messa a frutto del suo potenziale finanziario ed imprenditoriale post-presidenziale. Una lettura che rinfresca la memoria su cosa fosse e sia tutt’ora il sistema di potere clintoniano: salta fuori un po’ di tutto, dagli affari con faccendieri delle peggior specie (ce n’è anche uno italianissimo), alle scorribande sessuali con amici come il magnate dei supermercati Ron Burkle (nel cui staff pare che queste avventure con Bill venissero etichettate spiritosamente “Air Fuck One”).
Ma soprattutto salta fuori che alcuni dei grandi finanziatori della Fondazione Clinton, che in teoria avrebbe scopi puramente filantropici e benefici (e ai vertici della quale siede attualmente anche la stessa Hillary), versano le loro elargizioni per comprare la prestigiosa partecipazione di Bill a determinati eventi o addirittura la sua intermediazione nella conclusione di determinati affari. Si sarebbe insomma consolidato un bizzarro business basato sullo sfruttamento commerciale della rete di relazioni acquisita dai Clinton ai tempi della Casa Bianca (con questo Doug Band nel ruolo del ruffiano), e questo sfruttamento sarebbe in buona parte veicolato dalla fondazione “non profit” (ahem) di famiglia.
Eccolo qui il problema di Hillary 2016: non un’età troppo avanzata, ma una storia troppo zeppa di cose poco nobili e difficili da nascondere. Come quelle maledette rughe.
Forse anche perché, pur di darle una mano, hanno ripescato un servizio fotografico vecchio di quasi tre anni, realizzato per il magazine Harper’s Bazar.
Ma ci sono rughe che nessun trucchetto fotografico può cancellare. Poche ore dopo la presentazione della nuova copertina del NYMag, un altro settimanale di riferimento dell’America liberal, il New Republic, ha sparato una cover story dedicata alle gesta del factotum- braccio destro di Bill Clinton, tale Doug Band, personaggio poco noto al grande pubblico ma potentissimo; vero e proprio organizzatore dell’entourage di Bill e, soprattutto, amministratore della messa a frutto del suo potenziale finanziario ed imprenditoriale post-presidenziale. Una lettura che rinfresca la memoria su cosa fosse e sia tutt’ora il sistema di potere clintoniano: salta fuori un po’ di tutto, dagli affari con faccendieri delle peggior specie (ce n’è anche uno italianissimo), alle scorribande sessuali con amici come il magnate dei supermercati Ron Burkle (nel cui staff pare che queste avventure con Bill venissero etichettate spiritosamente “Air Fuck One”).
Ma soprattutto salta fuori che alcuni dei grandi finanziatori della Fondazione Clinton, che in teoria avrebbe scopi puramente filantropici e benefici (e ai vertici della quale siede attualmente anche la stessa Hillary), versano le loro elargizioni per comprare la prestigiosa partecipazione di Bill a determinati eventi o addirittura la sua intermediazione nella conclusione di determinati affari. Si sarebbe insomma consolidato un bizzarro business basato sullo sfruttamento commerciale della rete di relazioni acquisita dai Clinton ai tempi della Casa Bianca (con questo Doug Band nel ruolo del ruffiano), e questo sfruttamento sarebbe in buona parte veicolato dalla fondazione “non profit” (ahem) di famiglia.
Eccolo qui il problema di Hillary 2016: non un’età troppo avanzata, ma una storia troppo zeppa di cose poco nobili e difficili da nascondere. Come quelle maledette rughe.
Uscito su The Post Internazionale
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