Venti giorni dopo la rielezione di Obama è pressoché terminato lo scrutinio totale, ed il risultato che si delinea è che il Presidente ha preso poco più 64 milioni e 800mila voti popolari, circa cinque milioni e mezzo meno di quelli con i quali era stato eletto quattro anni fa, mentre Mitt Romney ne ha ricevuti poco meno di 60 milioni e mezzo, quindi contrariamente a ciò che si era detto in un primo momento non ha perso nemmeno uno dei voti presi nel 2008 dallo sconfitto John McCain – anzi ne ha presi qualche centinaio di migliaia in più. In termini di percentuali, Obama ha vinto di un soffio la maggioranza assoluta del voto popolare (il dato finale dovrebbe assestarsi tra il 50,8 e il 50,9%), mentre Romney si è fermato poco sopra al 47% (e comunque sotto al 47,5).
A questo punto, risultati definitivi alla mano, si possono tirare le somme e si può vagliare criticamente la vulgata emersa all’indomani del voto, stando alla quale la rielezione di Obama si potrebbe spiegare semplicemente con l’incremento della consistenza elettorale di quelle minoranze etniche, in primis latinoamericani ed afroamericani, che già quattro anni fa erano stati una delle chiavi di volta della sua “coalizione” e che quest’anno si sono compattati ancora di più nel sostenerlo nelle urne.
E proprio così? Davvero questo dato – indubbiamente vero e determinante – è sufficiente per spiegare questa vittoria di Obama, e simmetricamente l’erosione dell’elettorato “bianco” basta a spiegare la sconfitta di Mitt Romney e magari anche a prescrivere il da farsi per il Partito Repubblicano del futuro prossimo?
Nel 2008 l’elettorato era “bianco” solo al 74%, ma il dato più significativo è che il vantaggio del candidato repubblicano John McCain in quel gruppo di elettori fu “solo” di 12 punti percentuali: Obama ottenne il 53% dei voti complessivi e – pur essendo egli stesso afroamericano - ben il 43% dei voti dei “bianchi”, moltissimi, praticamente la stessa percentuale record che Bill Clinton aveva raggiunto nel 1996.
Ma si tratta di un dato complessivo nazionale che non deve trarre in inganno: se osservato nella sua distribuzione sul territorio, assume un significato molto, molto diverso.
Se l’esito dell’elezione fosse dovuto solamente alla massiccia convergenza su Obama del voto della “nuova America etnica” demograficamente in aumento, il “vecchio bianco” Romney sarebbe stato una vittima più o meno incolpevole delle inarrestabili tendenze demografiche in atto: non a caso in una conference call post-elettorale con i suoi finanziatori egli stesso ha tentato di avallare questa idea, fondendola con quella famigerata del “47% di mantenuti”, ed affermando che alcune “elargizioni” assistenzialiste come ad esempio l’introduzione della assicurazione sanitaria gratuita prevista da ObamaCare per persone con reddito molto basso hanno garantito ad Obama il consenso di afroamericani e latinoamericani che notoriamente appartengono in gran parte alle fasce meno abbienti della popolazione.
In realtà le cose non sono così semplici. Per intuirlo, in effetti, non era indispensabile disporre dei dati precisi su questa elezione: bastava far mente locale sul fatto che appena due anni fa, in elezioni di mezzo termine tenutesi in un contesto demografico sostanzialmente identico a quello attuale, i Repubblicani avevano conseguito la loro più grande vittoria elettorale parlamentare dell'ultimo secolo ed avevano strappato ai Democratici il governatorato in una dozzina di Stati. Non era quindi pensabile che tutto ciò che è cambiato dal novembre del 2010 al novembre del 2012 fosse imputabile al fattore demografico in favore dei Democratici, che è una realtà importante ed arcinota da anni ma non è “tutto”. In fondo, l’elettorato americano è tutt’ora “bianco” per oltre il 70%: il voto delle minoranze è ben lontano dal poter essere di per sé sufficiente per vincere.
Nel 1980, quando si formò la cosiddetta Reagan Coalition, i “bianchi” rappresentavano l’88% dell’elettorato. Otto anni dopo, quando Reagan terminò il suo mandato, erano ancora l’85%. Nel 2000, quando fu eletto per la prima volta Bush figlio, i “bianchi” erano l’81% degli elettori; nel 2004, quando fu rieletto, erano il 77%. Nel frattempo, il vantaggio del Bush di turno presso l’elettorato “bianco” rimase pressoché invariato: di 19 punti percentuali per Bush padre nel 1988, di 17 per Bush figlio nel 2004.
Quest’anno la percentuale “bianca” dell’elettorato è scesa al 72%, mentre il 13% è “nera” come quattro anni fa, e quella ispanica è salita dall’8 al 10%. Romney ha avuto la maggioranza del voto “bianco” con il 59%, solo quattro punti percentuali in più di McCain 2008 ma ben venti punti percentuali più di Obama che presso gli elettori “bianchi” è sceso al 39%.
Ma si tratta di un dato complessivo nazionale che non deve trarre in inganno: se osservato nella sua distribuzione sul territorio, assume un significato molto, molto diverso.
Innanzitutto, il primato di Romney – e quindi anche il “calo” di Obama – presso l’elettorato bianco risulta fortemente concentrato negli Stati del Sud. Il “Vecchio Sud” è da decenni – tendenzialmente dai tempi di Reagan - una roccaforte repubblicana, ma questo tasso di concentrazione è quasi senza precedenti. In svariate contee del Kentucky piuttosto che del Tennessee o della Louisiana, il risultato di Obama presso gli elettori bianchi è stato il peggiore dagli anni Sessanta – venti o trenta punti percentuali meno di quelli ottenuti dal “nordista” John Kerry otto anni fa.
Ma fuori dal Profondo Sud, la performance di Romney con gli elettori bianchi non è stata affatto trionfale: le percentuali sono inferiori a quelle di Bush. Solo negli Stati dove il candidato repubblicano avrebbe vinto comunque i bianchi sono accorsi a votare in massa per Romney. In Stati incerti assolutamente decisivi, come Ohio e Colorado, Romney ha ottenuto una percentuale di voti “bianchi” maggiore di quella di McCain, ma si è registrata una affluenza al voto degli elettori bianchi piuttosto modesta; in altri swing-states come Iowa e Virginia l’affluenza è stata alta ma Romney non ha ottenuto le stesse percentuali grazie alle quali Bush aveva vinto in quegli Stati.
In definitiva, la sconfitta di Romney non risulta causata solo dalle tendenze demografiche e dalla capacità di Obama e dei Democratici di farsi votare dalle minoranze etiche: anzi, è discutibile che questo sia stato anche solo il fattore principale. Lasciate perdere, quindi, le spiegazioni monocausalistando alle quali il risultato di questa elezione era "inscritto nella mappa demografica del paese" perché ormai "la maggioranza bianca diventa minoranza". Non accontentatevi delle semplificazioni stando alle qualiadesso per i Repubblicani "la caccia al voto ispanico, nero, asiatico è vista come la sola speranza di recupero". Certamente sarà una delle principali speranze di recupero, ma certamente non sarà la sola, ed è importante capire il perché. Se Romney non ce l’ha fatta, ciò si deve in buona misura anche al fallimento da parte del candidato repubblicano presso il “vecchio elettorato bianco”, fuori da quelle regioni “sudiste” dove tendenzialmente i repubblicani vincono comunque, e nelle quali quindi aumentare i voti non è loro di alcuna utilità. Il che spiega anche perché i sondaggi nazionali hanno dato Obama a forte rischio di mancare la rielezione, mentre quelli condotti negli swing states davano per quasi scontata la sua vittoria.
Degli undici Stati in cui gli elettori bianchi sono tutt’ora più dell’80%, Obama ne ha vinti cinque e Romney sei. Quelli vinti da Obama sono per lo più Stati del New England a forte inclinazione liberal, ma non solo: anche l’Iowa ed il cruciale Ohio.
Vediamolo nel dettaglio il caso dell’Ohio, lo Stato decisivo per definizione. Lì Obama ha vinto il 53% del voto ispanico, ma di gran lunga più determinante è stata la sua vittoria presso gli elettori bianchi del Buckeye State. Secondo Allison Kopicki e Will Irving del New York Times, in Ohio il presidente l’avrebbe spuntata anche se gli ispanici avessero votato lui al 22% e per Romney al 78%: un po' perché i votantu bianchi hanno scelto Obama al 41%, e un po' perché in molti hanno disertato le urne, facendo aume ntare il peso percentuale degli elettori afroamericani.
Gli exit polls suggeriscono qualcosa anche quanto alle possibili cause di questa performance deludente di Romney. Innanzitutto, balza all’occhio il fatto che Romney abbia migliorato rispetto a McCain 2008 il tasso di consensi presso le famiglie con un reddito superiore ai 50mila dollari all’anno, ma al contrario ha registrato consensi inferiori a quelli di McCain presso le famiglie con un reddito inferiore. Questo pesa, perché i quattro anni trascorsi sono stati anni di crisi economica e questo ha fatto sì che la porzione di elettori etichettabili come appartenenti al ceto medio-basso sia aumentata (dal 19 al 21% secondo Fred Bauer della National Review).
Ma non è tutto. Fra tutti i quesiti cui gli elettori hanno risposto all’uscita dal seggio, quello che vede sconfitto il candidato repubblicano con la percentuale più schiacciante è: “quale dei due candidati si interessa di più dei problemi della gente come te?”. Risposta: Obama 81%, Romney 17%. Come dire che anche per molti elettori repubblicani Romney “non è uno di noi”.
Cito una fonte davvero non sospettabile di simpatie per Obama, ossia Jay Cost, il quale sull'ultimo numero del settimanale neoconservatore Weekly Standard ha riassunto così la questione:
La campagna di Obama contro Romney, che lo ha descritto come un plutocrate disconnesso dalla gente normale, sembra aver avuto successo. Il tasso di popolarità di Romney degli exit poll era di solo il 47%, contro il 50% del tasso di impopolarità. Un formidabile 53% contro il 34%, degli elettori intervistati ha detto che le politiche di Romney avrebbero favorito i ricchi invece della classe media. In altre parole, Romney ha perso in gran parte a causa di un drastico deficit di empatia. In generale è un problema che in qualche misura tende ad affliggere tutti i candidati repubblicani, anche quelli vincenti; ma quest'anno è stato più acuto e sembra essere stato determinante. Gli elettori che si sono recati alle urne il giorno delle elezioni si sono identificati più con Obama che con Romney, e chi è rimasto a casa probabilmente non si è identificato con nessuno dei due. È importante sottolineare che questo problema ha trasceso età, razza, etnia e genere. Rispetto a Bush nel 2004, Romney semplicemente non è riuscito a connettersi con la gente.
Amen.