«Osama Bin Laden è morto e la General Motors è viva»: il vicepresidente Joe Biden ama usare questo scherzoso slogan nei suoi comizi per la rielezione di Barack Obama. Il salvataggio dal fallimento dei due giganti dell’industria automobilistica americana, General Motors e Chrysler (il terzo, Ford, preferì arrangiarsi senza sussidi e c’è riuscito) è infatti una delle più popolari “cose fatte” che il 44esimo presidente possa rivendicare di fronte agli elettori.
Presto però Biden potrebbe vedersi costretto a cambiare slogan. Se infatti per Chrysler (”salvata” dall’amministrazione Obama rilevandone solo l’8% delle azioni, mentre il 20% venne acquisito dalla Fiat di Marchionne) le cose vanno effettivamente per il meglio, di tutt’altro tenore sono le ultime notizie su General Motors, per il cui “salvataggio” l’intervento statale era stato ben più pesante.
Nel 2009, quando la General Motors presentò istanza di fallimento, il governo ne rilevò la maggioranza assoluta delle quote, spendendo quasi cinquanta miliardi di dollari. Da allora la GM è divenuta una vera e propria industria parastatale, guadagnandosi presso i detrattori dell’operazione il soprannome di “Government Motors”. Si disse che sarebbe stato solo un intervento straordinario temporaneo, ma ovviamente le cose non sono tanto semplici. Il governo federale è ancora azionista per il 26%: per dismettere l’intera sua partecipazione rientrando del fiume di dollari a suo tempo elargito dovrebbe vendere le azioni a 53 dollari l’una, ma oggi ne valgono sì e no 20 per cui vendere ora equivarrebbe a consolidare una perdita di circa 25 miliardi di dollari - soldi dei contribuenti. Al contempo, le vendite vanno male e i bilanci dell’azienda sono pericolosamente traballanti.
Le difficoltà maggiori General Motors le sta incontrando non negli Stati Uniti - dove pure il suo peso si è molto ridimensionato: vendendo a prezzi molto bassi riesce a mantenere circa il 20% del mercato dell’auto, mentre mezzo secolo fa superava il 50% - bensì in Europa, dove la GM ha investito tanto per poi ricavare risultati infimi per via della crisi. All’inizio dell’estate la casa di Detroit ha segnato un calo degli utili netti di ben il 40% nel secondo trimestre, e per settembre non ci aspetta niente di meglio. General Motors intanto ha scialato miliardi nel vano tentativo di soppiantare in Europa il marchio Opel con il suo principale, Chevrolet: il manager che ha speso 559 milioni di dollari per piazzare il logo Chevrolet sulla maglia dei giocatori del Manchester United è stato recentemente defenestrato. Un altro tasto dolente è quello delle auto ecologiche, fortemente spinto dal governo per ovvie ragioni politiche. Obama aveva promesso un milione di auto elettriche sulle strade d’America entro il 2015, ma sarà dura fin tanto che la Chevy Volt vende appena 10mila esemplari all’anno.
Di questo passo, “Government Motors” potrebbe presto vedersi costretta a portare nuovamente i libri in tribunale: il che significa che anche se Obama conquisterà la rielezione, potrebbe poi trovarsi per le mani la patata bollente di un secondo “bailout” per GM. Potrebbe permetterselo?
Uscito su L'Opinione
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