mercoledì 22 febbraio 2012

OBAMA SINGS THE BLUES

Il clamore spropositato, quasi isterico, generato da quei pochi secondi in cui Barack Obama ha accennato un brano di Al Green durante un evento di fundraising un mese fa all'Apollo Theatre di New York devono aver indotto lo staff del presidente a riflettere su quanto i suoi elettori sentano la mancanza del suo lato “pop”.
La gente vuole vedere un Obama popstar? Ieri è stata accontentata. In occasione del concerto blues tenuto ieri sera nella sala est della Casa Bianca per celebrare il “Black History Month”, il mese dedicato alla storia e alla cultura afroamericana (e trasmesso in diretta nazionale dall'emittente televisiva PBS nell'ambito di una rassegna di concerti musicali alla Casa Bianca), il presidente è salito sul palco e si è lanciato in una impeccabile interpretazione del classico “Sweet Home Chicago” accompagnato da una band d'eccezione capitanata da mostri sacri come B. B. King. E Mick Jagger.

Ecco il video della mini-performance presidenziale:

L'evento è stato orchestrato con particolare cura, inserendo anche un passaggio “colto” sempre con protagonista il presidente, che ha tenuto un brillante discorso: 
“Il blues ci ricorda che abbiamo attraversato tempi piu' duri di quelli attuali. Oggi sono orgoglioso di avere qui questi artisti, non solo come fan ma anche come presidente. La loro musica ci insegna che quando ci troviamo di fronte ad un bivio, non scappiamo davanti ai problemi. Li facciamo nostri, li fronteggiamo, facciamo i conti con loro. Ci cantiamo su, li trasformiamo in arte. E anche se ci confrontiamo con le dure sfide di oggi, possiamo sempre immaginare un futuro migliore. Questa è una musica di umili origini, affonda le sue radici nella schiavitù e nella segregazione, in una società che raramente trattava i neri d'America con la dignità e il rispetto che meritavano. Era la testimonianza di quei tempi duri. Tantissimi uomini e donne cominciarono a cantarlo; e il blues e' andato oltre, ha sfondato ogni confine, andando oltre i luoghi in cui era nato. E' migrato a Nord, dal Delta del Mississippi a Memphis, fino alla mia città, Chicago. Ha generato la nascita del Rock 'n Roll, del Rhythm 'n Blues, fino all'Hip Hop. […] Il Blues continua a radunare folle perché parla di qualcosa di universale. Nessuno attraversa la propria vita senza gioia e dolore, trionfi e insuccessi. Il blues parla di tutto questo, a volte con una sola nota e una sola parola''.
La canzone “Sweet Home Chicago” - che qui da noi è conosciuta più che altro grazie al film “The Blues Brothers” - venne scritta o quanto meno “codificata” negli anni Trenta dal mitico Robert Johnson, , il giovane bluesman che secondo la leggenda aveva fatto un patto con il diavolo per poter suonare così bene. Da molti considerato una sorta di capostipite della musica blues, Johnson veniva dal Delta del Mississippi e migrò a Memphis. La canzone in realtà menziona Chicago (ma nella versione originale anche la California e l'Iowa) solo come meta della migrazione.
Per questo si tratta di una canzone assolutamente perfetta non solo come siparietto glamour per il presidente che di Chicago ha in effetti fatto la propria “Sweet Home”, la città in cui ha mosso i primi passi in politica e ha conosciuto sua moglie, ma anche come riferimento per la prolusione colta che Obama ha tenuto.

Negli anni Venti e Trenta molti neri erano migrati a Chicago dal Delta del Mississippi, per sfuggire alla disoccupazione causata dalla grande inondazione che nel 1927 aveva lasciato senza lavoro centinaia di migliaia di braccianti nelle piantagioni di cotone e tabacco. La cosiddetta “Grande Migrazione Afroamericana” avveniva per lo più in treno, e siccome i migranti tendevano a comprare il biglietto ferroviario più conveniente, molti di quelli che lasciavano il Mississippi si spostarono a Chicago, per andare a lavorare nelle acciaierie e negli "stockyards" (i macelli della zona sudoccidentale della città). Proprio in quel contesto nacque il cosiddetto “Chicago blues” – la musica di Muddy Waters, di Howlin’ Wolf, Buddy Guy, di Bo Diddley - che si sviluppò verso la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta. Il blues di Chicago si differenzia infatti da quello primordiale nato all’inizio del secolo sul Delta del Mississippi poiché gli strumenti non sono più solo la chitarra e l'armonica (comodi da portare in giro per i bluesman delle origini, che vagabondavano a piedi da un villaggio all’altro come dei menestrelli), ma anche batteria, basso e piano (una vera e propria band, anche se di piccole dimensioni), ed erano tutti allacciati ad amplificatori elettrici.

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