giovedì 7 luglio 2011

IL PRESIDENTE SDOTTRINATO / 3


Oggi Fareed Zakaria - noto per essere uno degli intellettuali di riferimento di Barack Obama, ed occasionalmente addirittura suo consigliere sul Medio Oriente - in un corsivo sul Washington Post contribuisce a chiarire ciò che da tempo vado ripetendo (ad esempio qui, qui e qui), ossia la inesistenza di una "Dottrina Obama" in politica estera, che non sia quella di mantenersi volutamente privo di una vera "Dottrina".
Zakaria tiene a presentare questa assenza di dottrina come una scelta quasi obbligata e di estremo buon senso, dato che
Tutte le "dottrine" sulla politica estera americana tranne una sono state formulate durante la Guerra Fredda, per un mondo bipolare, quando la politica dell'America nei confronti di un solo Paese - l'Unione Sovietica - dominava l'intera strategia degli USA e rappresentava la questione decisiva di tutte le questioni di politica estera (la Dottrina Monroe è l'eccezione).
Ora, passi per quel "tranne una" che snobba sprezzantemente la dottrina che Zakaria dà per scontato sia disdicevole anche solo nominare; ma la sufficienza con cui viene relegata lapidariamente ad "eccezione" nientemeno che la Dottrina Monroe (ed ignorato tout court il cosiddetto "Corollario Roosevelt") tradisce la evidente forzatura dovuta alla volontà di dare plauso e copertura ad una scelta in realtà neiente affatto scontata e ancora tutta da verificare nella sua coerenza e nella sua efficacia.

In ogni caso, la questione veramente cruciale è quella che Zakaria pone in chiusura:
"il dato saliente della politica di questa amministrazione è il calcolo prudente su costi e benefici. La grande tentazione della politica estera americana, da Versailles al Vietnam all'Iraq, è stata quella di fare grandi proclami - enunciare dottrine - che hanno poi prodotto immensi impegni e costi".
La parola chiave è questa: "costi". In questi tempi di vacche magre - dice Zakaria e sembra ben interpretare il pensiero del presidente di cui è ammiratore e consigliere - una Dottrina in politica estera è un lusso che l'America non si può permettere. Men che meno se imperniata sull'idea della global leadership americana.

Sul punto consiglio anche la lettura del pezzo di Enrico Pedemonte uscito ieri su Linkiesta.
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UPDATE: il pezzo di Zakaria ha lasciato assai perplesso anche Michael Green, prof. di relazioni internazionali esperto di Asia, il quale questo pomeriggio (ora di Little Italy) pubblicato sul sito di Foreign Policy una critica che individua queste due "falle" nell'argomentazione di Zakaria:

La prima è storica. La Dottrina Monroe non è stata "l'eccezione che conferma la regola". C'è stata anche la Dottrina Tyler, che affermava il predominio strategico statunitense sulle Hawaii e il Pacifico orientale; e c'è stata la "Porta Aperta" di John Hay, che gli storici considerano una sorta di puntello per la Dottrina Monroe; e la Dottrina del non-riconoscimento di Henry Stimson; eccetera.
Ma ancora più importante è il secondo difetto nell'argomentazione di Zakaria. C'è una differenza tra dottrina e strategia. La dottrine articolano le aspirazioni per la strategia e quindi sono qualcosa di cui probabilmente si può anche fare a meno. La Strategia non lo è. Le piccole potenze possono anche vivere senza senza grandi strategie. Le grandi potenze no. O gli Stati Uniti cercano di imprimere una determinata direzione a regioni chiave come il Medio Oriente e l'Asia, oppure vanno avanti reagendo di volta in volta alle singole iniziative di poteri revansicsti e di forze interne a tali regioni fino a perdere la fiducia di amici ed alleati e a compromettere la supremazia americana".

Chiusura inclemente:

Se c'è una dottrina della quale non abbiamo bisogno in questo momento, è quella rappresentata dal finto realismo e dalla abdicazione rispetto rispetton alla leadership internazionale spacciata per "moderazione strategica".

Non finisce qui, immagino.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Ma tutto questo significa che in realtà una dottrina c'è, ovvero la mancanza di una linea d'azione valida per ogni situazione, e quindi l'obbligo di valutare caso per caso sia in realtà una dottrina in sè. Non so se mi sono spiegato ;)

Alessandro Tapparini ha detto...

Certo, è quello che Samantha Power, e poi Ryan Lizza, hanno definito "conseguenzialismo" (ne ho parlato in uno dei miei precedenti post linkati in questo).
Il punto controverso è se questa dottrina-non-dottrina sia realmente necessaria e se sia realmente efficace. E' vero che avere una Dottrina costa molto, ma nel lungo periodo quanto costa non averla (o averne una così radicalmente "conseguenzialista", se si preferisce)?

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