giovedì 27 settembre 2012

SI PUO' VINCERE SENZA L'OHIO?

Ieri erano lì, tutti e due. Romney in mattinata arringava una folla di duemila persone nella palestra di un liceo di Columbus, spiegando che “il suo cuore soffre” per le famiglie dei disoccupati. Poi, nel pomeriggio, ha tenuto un comizio nei pressi di Cleveland, la città più importante dello Stato, secondo alcuni la più povera di tutti gli Stati Uniti. Poco distante, praticamente spalla a spalla nella scala di grandezza di una campagna presidenziale, Barack Obama incontrava i suoi sostenitori in due città universitarie, Bowling Green e Kent. E spiegava loro che Romney è uno che “per anni ha fatto i soldi con società che trasferivano in Cina i nostri posti di lavoro”, e che quindi quando chiede la linea dura contro la concorrenza cinese “pare una volpe che chiede di rendere più sicuro il pollaio”.
Disoccupazione, concorrenza cinese: benvenuti in Ohio, la quintessenza del Midwest con le sue frustrazioni ed i suoi incubi. Il cuore, non solo geograficamente, di quella striscia di America un tempo massicciamente industrializzata ed oggi vittima della deindustrializzazione, che passando sotto i Grandi Laghi va dalla Pennsylvania al Nord dell'Illinois, e che già negli anni Ottanta divenne tristemente nota come “Rust Belt”, la cintura della ruggine, perché disseminata di innumerevoli fabbriche abbandonate. Negli anni Novanta della delocalizzazione i posti di lavoro se ne sono andati in Asia.

Da un posto simile i politici e i giornalisti si terrebbero alla larga, se non si trattasse di uno dei più grandi “swing state”.

Alle ultime presidenziali, nel 2008, l'Ohio è andato ad Obama, di cinque punti percentuali; due anni dopo, alle elezioni di mezzo termine, è tornato in mano ai repubblicani, eleggendo fra l'altro un governatore vicino ai Tea Party, l’ex conduttore Fox News John Kasich.
In questi giorni, l'Ohio è lo swing-state in cui Romney appare in maggiore difficoltà. Sarà perché qui l'occupazione comincia a dare qualche timido segno di ripresa, sarà perché dove la disoccupazione è il problema numero uno è difficile che gli elettori si appassionino ad un candidato che da manager di licenziamenti ne ha decisi tanti; fatto sta che i sondaggi più recenti parlano di un vantaggio molto consistente di Obama in questo Stato, di ben dieci punti percentuali secondo l'ultimo della Quinnipac, di oltre cinque secondo la media calcolata da RealClearPolitics. 
Ci si comincia quindi a chiedere se sia possibile per lui conquistare la Casa Bianca senza vincere in Ohio, impresa che sino ad oggi non è mai riuscita a nessun candidato repubblicano. Conti alla mano, la risposta è sì: l'Ohio è importantissimo ma non matematicamente indispensabile, Romney “in teoria” ce la potrebbe fare anche senza i suoi 18 voti elettorali. 
Ma solo se vincesse in quasi tutti gli altri swing-states: sia in Virginia e in North Carolina, sia in Nevada e in Colorado, sia in Iowa e Wisconsin. Potrebbe tutt'al più permettersi di perdere in un paio di Stati piccoli, tipo il New Hampshire e il New Mexico; ma tutti gli altri sarebbero per lui degli assoluti must-win. Soprattutto lo sarebbe quello più grande, la Florida.
Lo conferma, ad esempio, Nate Silver, il sondaggiologo del New York Times. E anche Michael Crowley di Time sottolinea come in Florida, di gran lunga il più determinante di tutti gli Stati in bilico (da sola vale ben 29 voti elettorali), Romney in questi giorni viene dato sì in svantaggio, ma non uno svantaggio drammatico come quello che i sondaggi gli attribuiscono in Ohio. La Florida è ancora in gioco, e con lei lo è la Casa Bianca.


giovedì 6 settembre 2012

LA CAMBIALE DI OBAMA (THE BILL, PLEASE)


Un anno fa la Gallup divulgò un sondaggio non di routine: agli intervistati era stata posta la domanda "pensi che Barack Obama sia stato un presidente migliore, più o meno uguale, o peggiore di Bill Clinton?". Risultato: il 50% aveva risposto "peggiore", il 35% "più o meno uguale", ed appena un miserrimo, imbarazzante 12% aveva risposto "migliore".
Quel sondaggio suonò come una umiliazione per l'Obama che nel 2008 aveva vinto le primarie promettendosi rottamatore del clintonismo, e una piccola vendetta per il vecchio Bill (che a suo tempo non aveva fatto mistero del suo disprezzo verso il "pivello" di Chicago - memorabile la battuta, spifferata dai retroscenisti del bestseller "Game Change": "quel ragazzino qualche anno fa ci avrebbe servito il caffé"). Tanto più che quel sondaggio usciva alla vigilia della pubblicazione del libro di Clinton, dal titolo "Back to Work", in cui il 42esimo presidente spiegava come fare ciò che apparentemente Obama non sta riuscendo a fare, ossia far ripartire l'economia e l'occupazione.
Si sa com'è andata: alla fine Obama ha dovuto andare a chiedere al vecchio Bill un aiuto senza il quale rischia di fumarsi la rielezione; e Bill, non certo in cambio di una pacca sulla spalla, ha accettato di tornare back to work, per l'appunto.
Il riuscitissimo discorsone a briglia sciolta di quasi un'ora (il testo ufficiale diramato poco prima  constava di 3.136 parole, in quello che ha effettivamente tenuto ne sono stato contate quasi seimila: altro che teleprompter...) che Bubba ha tenuto ieri sera alla Convention di Charlotte è stato la  definitiva di questa ri-clintonizzazione forzata della presidenza Obama.

A caldo, Larry J. Sabato, il venerato politologo dell'Università della Virginia, ha notato su Twitter che spendersi tanto per la rielezione di Obama "a Clinton è piaciuto così tanto perchè Obama ne ha avuto tanto bisogno"; e a scanso di equivoci ha poi aggiunto: "E ora, come potrebbe Obama dare il suo appoggio a chiunque si contrapponesse ad Hillary nel 2016? I Clinton adesso hanno in mano una gigantesca cambiale firmata Obama"...

martedì 4 settembre 2012

BENVENUTI AL SUD



  "Bank of America Stadium": è questo il vero nome dello stadio del football di Charlotte dove Barack Obama dovrebbe parlare giovedì, per via dello sponsor della sua edificazione che qui ha il suo quartier generale. Ma i Democratici preferiscono chiamarlo con il nome della squadra locale, "Panthers Stadium", per evitare imbarazzanti associazioni con un gigante della finanza. Questo però è decisamente il meno. Il fatto è che, stadio o non stadio (in caso di pioggia il presidente ripiegherà sul palazzetto dello sport che ospita il resto della convention), una location così tipicamente "sudista" è decisamente insolita per consacrare la candidatura alla rielezione di un presidente come Obama.

 Eppure la Convention Nazionale Democratica si apre oggi proprio qui: in un uno Stato del Sud di quelli nei quali da sempre domina il voto conservatore e nei quali, dai tempi di Nixon, il voto conservatore soffia nelle vele del Partito Repubblicano nelle elezioni nazionali (anche se non sempre in quelle locali). E in una città che vanta fieramente quale proprio residente più illustre il novantaduenne reverendo Billy Graham, vera e propria istituzione vivente della città: il più celebre dei predicatori americani, definito da Harold Bloom "il Papa dell'America protestante", colui che dall'ultimo dopoguerra in poi tutti i presidenti hanno voluto incontrare come una sorta di consigliere spirituale, a prescindere dalle sue idee conservatrici (Obama due anni fa fu il primo a recarsi in pellegrinaggio direttamente a casa sua, ad Asheville, appena fuori Charlotte).

D'accordo, non siamo nel "Profondo Sud" (mica è il South Carolina questo!), ma siamo comunque decisamente nel Sud. Prima di Obama, l'ultimo candidato democratico a vincere in North Carolina era stato il georgiano Jimmy Carter, quando era stato eletto alla Casa Bianca nel lontano 1976. Nel 2004, George W. Bush stracciò in South Carolina lo sfidante democratico John Kerry, lasciandolo indietro di dodici punti percentuali, 56% contro 44, nonostante questi avesse chiamato ad affiancarlo come candidato alla vicepresidenza John Edwards, all'epoca popolare senatore eletto proprio in questo Stato.

È stato quindi un piccolo miracolo quello realizzato da Obama quattro anni fa, quando il candidato Democratico conquistò il North Carolina battendo l'avversario John McCain; vinse però di un nonnulla, meno di mezzo punto percentuale, il 49,7% contro il 49,3 (poco più di 14mila voti). Fu l'unico stato "sudista" oltre alla confinante Virginia (la Florida non si considera politicamente tale) strappato ai repubblicani, ed in assoluto quello che Obama vinse con il margine più esiguo (in Virginia invece Obama vinse di sette punti, ribaltando simmetricamente il risultato di Bush del 2004; ma se si votasse oggi, stando alla media dei sondaggi calcolata da RealClearPolitics, il suo vantaggio sarebbe decimato e quindi a rischio sorpasso).

Due anni dopo, nelle elezioni di mezzo termine del 2010, i repubblicani conquistarono la maggioranza nel parlamento locale; il governatore del North Carolina è invece un democratico che fu eletto lo stesso giorno in cui Obama divenne presidente, ma che ha rinunciato a tentare la rielezione a novembre per via della impopolarità record attribuitagli da tutti i sondaggi (complice l'alto tasso di disoccupazione, che in North Carolina è di poco inferiore al 10%). Inutile dire che il candidato repubblicano è comunque stra-favorito.
 La scelta di tenere proprio qui la convention nazionale - i democratici non ne tengono una al Sud da un quarto di secolo, quando nel 1988 scelsero la Georgia per la prima candidatura presidenziale di Bill Clinton - è stata quindi fortemente simbolica: il messaggio è che i democratici non mollano, non intendono arretrare e non si rassegnano alla perdita di quelle che erano state le conquiste più avanzate sulla mappa elettorale di quattro anni fa. Secondo alcuni si tratta anche di una tattica di organizzazione politica sul territorio: tenere la convention qui dà l'occasione di "schedare" un bel po' di simpatizzanti in uno Stato tanto cruciale.
 Gli ultimi sondaggi parlano di un South Carolina ancora in bilico, ma alla portata di Romney più che di Obama. L'ultimo, pubblicato domenica dalla locale Elon University, attribuisce a Romney il 47% dei voti, contro il 43 di Obama. Mediamente lo sfidante viene dato in vantaggio più o meno di un punto percentuale; secondo il sondaggiologo del New York Times Nate Silver, le probabilità che il miracolo del 2008 non si ripeta sono attualmente del 60,6%.
 È quindi più che probabile che molti, nel Partito Democratico, stiano rimpiangendo la scelta di tenere la convention in un territorio tanto difficile. Qualche dubbio, per la verità, era venuto già a maggio, quando il North Carolina è divenuto il 29esimo Stato dell'Unione a vietare il matrimonio omosessuale, con un referendum che ha modificato la costituzione locale in modo da vietare persino il riconoscimento delle semplici unioni civili, approvato dagli elettori a valanga - il 61% contro il 39. A quel punto qualcuno nel partito del presidente espresse perplessità sulla location, ma ormai la sfida era stata lanciata: oggi si va in scena, in territorio sudista.

sabato 1 settembre 2012

LA SEDIA DI CLINT


È la seconda volta che il vecchio Clint si rende protagonista di questo anno elettorale. La prima sembrò quasi una fatalità, se non un equivoco: fu quando a febbraio Eastwood diede volto e voce allo spot della Chrysler nell'intervallo del SuperBowl, in cui incitava l'America a darsi da fare per uscire dalla crisi ("siamo solo a metà partita, ora viene il secondo tempo"). Piacque a molti, quello spot: il suo spirito orgogliosamente anti-declinista, intriso di ottimismo tipicamente e profondamente americano, colpì nel segno. Non piacque però a molti opinionisti ed addetti ai lavori repubblicani, che trovarono disdicevole l'ambigua nobilitazione del rilancio dell'industria automobilistica di Detroit basato sui sussidi elargiti dall'amministrazione Obama: era solo pubblicità per una marca di automobili, o anche propaganda subliminale per l'imminente campagna elettorale del presidente, un singolare caso di product placement al contrario?
Giovedì sera a Tampa, subito prima che Marco Rubio introducesse l'acceptance speech di Mitt Romney, è successo di nuovo. Alle dieci di sera, proprio quando i grandi network televisivi cominciavano a mandare in onda le immagini della convention, sotto il riflettore preparato per un misterioso "oratore a sorpresa" la cui identità era stata gelosamente custodita (ma a noi un dubbio era venuto...), il canuto attore e regista ha fatto il suo ingresso sul palco della convention nazionale repubblicana, e si è prodotto in un inatteso show che ha destato ancora più clamore del il fatto in sè del suo intervento pro-Romney. Anzichè un normale comizio, un sorprendente monologo con una sedia vuota sulla quale si intendeva seduto un Obama immaginario al quale l'arzillo ottantaduenne ha rinfacciato con tono a dir poco irriverente le promesse non mantenute, per poi ricordare, con buona dose di scaltro populismo, che "questo paese è nostro: i politici sono nostri dipendenti, e se uno di loro non fa bene il suo lavoro, lo abbandoniamo al suo destino".

Quella di quest'anno è la campagna elettorale di Twitter: una trovata del genere non poteva non deflagrare. Il Team Obama ha ritenuto di intervenire in tempo reale pubblicando su più di un social network un contro-sfottò ("questa sedia è già occupata": ad oggi qualcosa come 48mila "Retweet"), e nelle stesse ora qualcuno ha creato un profilo Twitter "Obama invisibile" le cui goliardate sono seguite già da oltre 62mila follower. 
L'happening è stato di grande effetto, insomma; ma la consolazione per i sostenitori di Obama è che forse lo è stato persino un po' troppo. Ieri alcuni retroscenisti hanno rivelato che la gag non era concordata, è stata improvvisata senza provarla e ha colto di sorpresa anche il Team Romney. Ieri il New York Times raccontava con tono compiaciuto di una gara a prendere le distanze tra gli imbarazzati organizzatori della convention; e laReuters parlava di "mesi di accurata pianificazione improvvisamente dirottati in un turbine di perplessità e parodie". 
Il fatto è che - come si si sapeva sin da principio e si è ripetutamente riscontrato durante le primarie - Romney è un candidato a corto di carisma, poco convincente e poco appassionante; ogni volta che gli si affianca qualcuno di più interessante, che si tratti di un ospite della convention o di un brillante candidato vicepresidente - anzichè acquisire colore risulta oscurato. In questa contesa che i sondaggi rimane un testa a testa in cui tutto puo' succedere, ce la puo' fare solo se prevale lo spirito del "referendum contro Obama". Intanto, per oggi il ricordo più vivido della serata conclusiva di quella che avrebbe dovuto essere la "sua" convention, è lo show del vecchio Clint. Il quale pure, di fronte all'ovazione che l'ha accolto, uno scrupolo caritatevole l'aveva avuto: "Risparmiate un po' di applausi per Mitt"...