giovedì 13 ottobre 2011

FATE IL VOSTRO GIOCO!


Racconta Jennifer Rubin, la blogger conservatrice del Washington Post, che cercando su Google "Romney inevitabile" si ottengono la bellezza di un milione e novecentoottantamila risultati. Ho verificato: è vero. Alla faccia. In effetti, da qualche giorno lo si legge un po' ovunque. La Rubin mette in guardia contro queste premature conclusioni, che definisce "sciocche" -  e non ha affatto torto.
Qui da noi la tesi della "inevitabilità" di Romney è stata recentemente raccontata da Christian Rocca sul Sole24Ore, accompagnandola con il parallelo con la vittoria di John Kerry alle primarie democratiche del 2004 (e con quello, già proposto oltreoceano da Ross Douthat sul suo blog targato New York Times, tra la candidatura di Rcik Perry e quella di Howard Dean).
E a proposito di Douthat: ieri si cimentava anche lui in questo esercizio di stile, tentando con la variante "Romney l'inesorabile".
Quanta fretta. Dopo un paio di settimane con Perry in brusco calo, sorpassato nei sondaggi non solo da Romney ma anche da quello della pizza, dopo l'endorsement di Chris Christie a Romney (preceduto da quello di Mel Martinez, pezzo grosso del partito in Florida che sedette sul seggio senatoriale oggi di Marco Rubio, e seguito a ruota dall'opt-out di Rudy Giuliani), e dopo che che martedì sera al dibattito in New Hampshire Perry non ha brillato ed anzi si è fatto rubare la scena da quello della pizza, questo brusìo si è fatto sempre più vivace.
Immotivatamente, a ben vedere.
Intendiamoci: che alla fine Romney vinca le primarie è possibilissimo, ci mancherebbe. Ma considerarlo scontato, e cercare di intravedere già oggi la ineluttabilità di quusto esito, mi pare campato in aria.
Basta considerare:
1) che siamo appena ad ottobre, ed in tre mesi basta poco per ribaltare tutto - ma proprio tutto.
Si pensi a come stavano messe le primarie repubblicane quattro anni fa, nell'ottobre del 2007: la palma di frontrunner secondo i sondaggi era contesa fra Fred Thompson, uno che di lì a due mesi evaporò senza motivo e nell'indifferenza generale, e Rudy Giuliani, che ben presto si sarebbe reso protagonista di uno dei più clamorosi flop nella storia delle primarie repubblicane; il futuro vincitore John McCain, per la cui candidatura tutti suonavano il requiem, stentava a tener testa anche a Romney (sempre lui).
2) che fino ad ora si è giocato quasi solo con i dibattiti, i quali in questa fase contano pochino amche perché l' "americano medio" non li sta seguendo.
Che Perry sia scarsetto in questo campo si sapeva sin da principio; ma si sa anche che storicamente questa debolezza non gli ha nociuto granché. Le ultime primarie da lui disputate, quelle per la ricandidatura a governatore del Texas, le ha vinte nonostante delle performance mediocri nei dibattiti, contro una avversaria molto più brava di lui e molto più supportata dall'establishment del partito (clan Bush in primis).
3) che contano parecchio anche i soldi, e Perry, del quale si discuteva se, essendo sceso in campo solo ad agosto inoltrato, sarebbe riuscito a raccogliere 10 milioni di dollari entro settembre, risulta averne raccolti 17.
4) che Romney appare aver già espresso quasi tutto il suo potenziale: l'unico candidato di un qualche peso a lui omogeneo, Pawlenty, è già confluito da tempo, ed il più influente dei non-candidati, Christie, ha ora fatto altrettanto. Inoltre Romney ha già squadernato praticamente tutto il suo programma elettorale, sia in politica economica che in politica estera.
Perry, al contrario, ha ancora da giocare quasi tutte le sue carte: ha da raccogliere ancora tutte le confluenze verosimilmente possibili, e non ha ancora cominciato a rivelare il suo programma.
Al contempo, Romney non riesce a raggiungere nei sondaggi nemmeno il 30%, neanche ora che Perry è sceso sotto il 20: allo sgonfiamento del secondo, non ha corrisposto una avanzata del primo. I consensi che Perry ha recentemente (temporanemanente?) perso appaiono confluiti su tutti, persino su quello della pizza, tranne che su Romney, che sembra quindi disperatamente isolato, eslcuso da questo sistema di vasi comunicanti.
5) che, infine, deve ancora cominciare il vero tiro al bersaglio contro Romney, essendo facile mirare ai suoi enormi talloni d'Achille - in primis la sua riforma sanitaria in Massachusetts, che - è ormai ufficiale - è servita da vero e proprio modello per quella nazionale di Obama, ma più in generale le sue affinità con il presidente in carica (chiedere a Jon Stewart), e la sua nota inclinazione al flip-flop più pacchiano (siamo arrivati al punto in cui il Team Obama sfotte Rick Perry per non aver ancora voluto tentare un vero affondo in questo senso).
Insomma: fare pronostici ora come ora è ancora una scommessa su una partita apertissima. Fate il vostro gioco e divertitevi, ma per carità non parlate di certezze o di inevitabilità.
A proposito: il prossimo dibattito - l'ultimo di questa stagione - si tiene martedì prossimo a Las Vegas.
Prendetelo come un monito.

1 commento:

  1. Io continuerò a puntare all-in su Perry fino alla fine, Cain mi pare seriamente eccessivo e non eleggibile dai "Reagan democrats", a mio avviso ancora una volta decisivi per l'elezione a presidente, mentre il texano ha l'appealing giusto per attirare il consenso del mid-west. Deve solo riuscire a scrollarsi di dosso, oppure no?, l'appellativo di "quello che somiglia a Reagan" ed evitare come la peste altri scandali come quello del epiteto razzista scritto su una pietra nel suo ranch.

    RispondiElimina