martedì 14 settembre 2010

SALDI DI FINE STAGIONE


A volte l’osservazione dell’andamento del “fallout commerciale” legato al successo di un leader politico rivela più di molti sondaggi.

Un anno fa mi divertii ad esercitarmi in questo giochetto, considerando la presenza del 44esimo presidente nell’editoria italiana: emergeva un repentino sgonfiamento della “bolla” della obama-mania.

Un anno dopo si cimenta nello stesso giochino nientemeno che il Washington Post, considerando però il mercato dei gadget; il risultato, non particolarmente sorprendente per la verità, è che i gingilli per i fan di Obama (magliette, spille, bambolotti, adesivi e quant’altro) non si vendono quasi più, o si vendono solo a metà prezzo. Addirittura, un negozio della capitale che aveva puntato tutto sui gadget pro-Obama al punto da venir soprannominato "The Obama Store", ha dovuto chiudere i battenti.
Il cronista del WP si spinge a desumerne un abbandono da parte degli elettori indipendenti (quelli senza il sostegno dei quali si perdono tutte le elezioni).
Sta di fatto che, a quanto pare, adesso i gadget più venduti sono quelli che sbertucciano il presidente – tant’è che c’è già chi ne ha messo in commercio uno che fa della satira proprio su questa inversione di tendenza: il “Kit per grattar via l’adesivo pro-Obama”.

Sic transit.

venerdì 10 settembre 2010

FREEDOM TOWER RISING

Lette le polemiche delle scorse settimane su moschee troppo vicine e barbecue di corani, ho deciso che l’unica notizia davvero rilevante sull’anniversario del 9.11 è che i lavori sono finalmente partiti.
Non è cosa da poco, visto che per oltre cinque anni tutto è rimasto in stallo sia per motivi burocratici che per motivi economici. Ora il cantiere (i cui spettacolari progressi possono essere osservati quasi in tempo reale sull'apposita pagina flickr) sta finalmente lavorando a pieno ritmo. Chris Ward, direttore esecutivo della Port Authority of New York and New Jersey (l'ente proprietario del suolo, che sta costruendo la torre principale) giusto ieri l'ha definito "un gigantesco gioco dello Shangai". Un paio di mesi fa, tanto per dire, dagli scavi è saltato fuori neintemeno che il relitto di un veliero del Settecento (in Italia solo per questo la sovrintendenza avrebbe bloccato tutto per anni...).

Il “National Memorial” dedicato all’Undici Settembre sta prendendo forma e sarà aperto l’anno prossimo per il decennale della tragedia.

Una settimana fa è terminata la piantagione del primo filare delle 400 querce dei “memorial gardens”.

Due giorni fa sono stati issati i due “forchettoni” d’acciaio, inconfondibile frammento di quelle che furono le Torri Gemelle, la cui “impronta” rimarrà disegnata nelle due “vasche riflettenti più grandi del mondo”.

La costruzione dell’edificio principale è arrivata al 36esimo dei 102 piani previsti, che cominciano finalmente ad affollarsi di futuri inquilini.
Sarà “l’edificio più alto dell’emisfero”, battendo il record dell’ex Sears Tower di Chicago. Data fine lavori prevista: 2013.
Purtroppo si chiamerà solo “Edificio n.1 del World Trade Center”, ma il bello è che tutti si ostinano comunque a chiamarla “Freedom Tower”.
Giustamente.
DAY-AFTER UPDATE: Oggi il New York Times ha deciso di celebrare esattamente nello stesso modo.

lunedì 6 settembre 2010

TIME OUT (IMPRESSIONI DI SETTEMBRE)


“Come Obama è diventato Mister Impopolarità” : tinte forti sin dal titolo per il pezzo con cui Michael Scherer, corrispondente dalla Casa Bianca per TIME, fa il punto sull'andamento sempre più disastroso di questa presidenza, sull'ultimo numero del settimanale uscito a ridosso del Labour Day (che in un anno elettorale segna la fine del periodo estivo e l'inizio della fase “hard” della campagna elettorale).
Qualche stralcio:

Quando Obama entrò in carica nel gennaio del 2009, la percentuale di elettori che gli esprimevano approvazione secondo la rilevazione della Gallup era del 68%: non si vedeva un consenso così elevato per un leader neoeletto dai tempi di John Kennedy nel 1961.
Oggi la percentuale è scesa poco sopra il 40%, il che significa che almeno un americano su quattro ha cambiato idea su Obama.
Il crollo è particolarmente drammatico fra gli elettori indipendenti, quelli bianchi e quelli di età inferiore ai 30 anni.
Ad appena nove settimane di distanza dalle elezioni di mezzo termine, invece della trasformazione generazionale che alcuni democratici avevano profetizzato dopo il 2008, il partito del presidente sta oscillando sull'orlo di un grave crollo a novembre, e rischia addirittura di perdere la maggioranza parlamentare in entrambe le camere.
Gli elettori che si dichiarano intenzionati a votare per i repubblicani superano di ben dieci punti percentuali quelli che si dicono propensi a votare per i democratici: si tratta del distacco più grande mai rilevato dalla Gallup in questo tipo di sondaggio.

Lo scorso giugno Peter Brodniz della Benenson Strategy Group, un'agenzia di sondaggi che lavora anche per la Casa Bianca, ha chiesto agli elettori se per dare impulso alla creazione di nuovi posti di lavoro preferissero “altri investimenti da parte dello Stato” o “tagli alle tasse sulle imprese”. Anche tra quelli che avevano votato per Obama, quasi il 38% preferiva i tagli alle tasse. Quando Brodniz ha proposto una alternativa fra tagli alla spesa per ridurre il debito pubblico ed investimenti in “ricerca, innovazione e nuove tecnologie”, un terzo degli elettori di Obama ha scelto i tagli. Il risultato dell'indagine, commissionata dal think tank “Third Way” (Terza Via), era inequivocabile: circa un terzo di coloro che avevano votato per Obama nel 2008 nutriva seri dubbi circa l'approccio basato sulla spesa pubblica.

La tesi dell'articolo è che lo scollamento rispetto all'opinione pubblica si deve in buona misura al fatto che decidendo di mettere in cantiere determinate riforme fintantoché era certo di avere abbastanza voti al Congresso, Obama è finito ostaggio dei leader democratici alla Camera e al Senato, che hanno ritenenuto di trovarsi in una situazione del genere “ora o mai più”, ed hanno spinto per imprimere a quegli interventi (uno per tutti: la riforma del sistema sanitario) una inclinazione statalista tanto cara alle frange più liberal del partito ma pericolosamente impopolare per la gran parte degli elettori. Mentre rispetto alla questione che sta maggiormente a cuore a questi ultimi, cioé la disoccupazione, sia Obama che i parlamentari democratici sono apparsi scarsamente interessati.

Una cosa è certa: fa impressione leggere un articolo del genere proprio su TIME.

Il 2008 sembra lontano anni luce.

Ed anche il 2009 pare ormai appartenere ad un'altra epoca.

Lo ripeto: sta succedendo qualcosa, non solo nel rapporto fra Obama e gli elettori, ma anche nel rapporto fra Obama e i grandi media.

sabato 4 settembre 2010

RISVEGLI

Se persino Chris Mattews, l'Emilio Fede di Barack Obama - quello, per intenderci, che nel commentare le primarie democratiche spiegava senza pudore che sentire Lui che parlava gli provocava "un brivido da far tremare le gambe" - sente ora il bisogno di deprecare senza mezzi termini il fatto che il Presidente faccia ampio uso del "teleprompter"( il leggìo elettronico) in ogni occasione ufficiale senza avvedersi che ciò si pone come un ostacolo fra lui e l'interlocutore, facendolo apparire "uno che sta lì a leggere delle parole scritte" senza manco guardare chi gli sta di fronte, vuol dire che sta succedendo qualcosa.
(Inutile infierire ricordando che il teleprompter Obama lo usava anche quando faceva venire il brivido alle gambe di Mattews - e che già allora i suoi detrattori lo criticavano e sbeffeggiavano per questo vizietto).