lunedì 7 settembre 2009

AFGHANISTAN, 2 MESI DOPO



“Nell’universo di Obama la priorità appartiene sempre alla politica, non alla forza, e lo sbarco roboante di marines con colonna sonora delle pale dei grandi elicotteri Black Hawk nella valle dell'Helmand sembra una mossa politica”.
Vittorio Zucconi, La Repubblica, 3 luglio 2009


“La guerra in Afghanistan si può vincere solo cambiando strategia, la situazione sul terreno è "grave". Parola del generale capo delle forze Nato, l'americano Stanley McChrystal […] serio problema per Barack Obama: l'Afghanistan è ormai diventata la "sua" guerra e non più un semplice lascito di George Bush da liquidare. Da quando l'attuale presidente l'ha definita "un conflitto di necessità", ha fatto propria la tesi secondo cui combattere i Taliban è indispensabile per proteggere l'America da nuovi attacchi terroristici di Al Qaeda. In questo modo Obama si è esposto in prima persona, diventando il prossimo bersaglio dei movimenti pacifisti, che già annunciano mobilitazioni nelle prossime settimane”.
Federico Rampini – sulle pagine degli esteri de La Repubblica il primo settembre 2009 (e non “solo sul suo blog” come erroneamente segnalato sabato scorso da Camillo)


Un bombardamento aereo della NATO su due autocisterne cariche di carburante ha causato tra le 80 e le 95 vittime, di cui circa la metà civili, stamattina nella – un tempo pacifica – provincia afghana del Kunduz […] A quanto pare i ribelli avevano rubato le due autocisterne che dal Tajikistan erano dirette a Kabul, ma sono rimasti impantanati nei pressi del fiume Kunduz ed hanno chiamato gli abitanti dei villaggi circostanti perché venissero a prendere il carburante. La gente è accorsa portando recipienti di fortuna per portare la benzina: i camion, quando sono stati colpiti dalle bombe gli sono esplosi addosso con una deflagrazione incendiaria da meteorite.
(sunto dal blog AFPAK di FP – 4 settembre 2009)


“Il fatto che ciò sia accaduto neache tre mesi dopo che il generale Stanley McChristal ha diramato le nuove linee guida che limitano drasticamente la possibilità di ricorrere a bombardamenti aerei, ammonendo sul fatto che il loro impiego irresponsabile “racchiude i semi della nostra autodistruzione”, sembra dimostrare quanto sarà arduo praticare la riconversione di un sistema di “potenza di fuoco” che sino ad oggi ha rappresentato l’asso nella manica di una moderna potenza militare alle prese con una elusiva insurrezione di guerriglieri”.
L’"esperto" John Burns sul “blog di guerra” del NYT – 4 settembre 2009


“Ce ne dovremmo andare dall’Afghanistan il prima possibile, portando con noi l’inferno che abbiamo scatenato. La spesa della prosecuzione di questa avventura ed il danno che la nostra permanenza laggiù arreca ai cittadini americani sono semplicemente divenuti inaccettabilmente ingenti. Il concetto di “vittoria” non ha più alcun senso né alcuna utilità. Prima affronteremo questa realtà, meglio sarà”.
Michael Laskoff, Huffington Post, 5 settembre 2009


"Il Presidente Obama ha già disposto l’invio di un rinforzo di 21mila soldati americani in Afghanistan, e presto deciderà se inviarne altre centinaia. Si tratterebbe di una decisione fatale per la sua presidenza, ed un gruppo di ex funzionari dei servizi segreti e di altri esperti sta ora a malincuore uscendo allo scoperto per ammonirlo pubblicamente rispetto al fatto che si tratterebbe di un errore di proporzioni epocali. La preoccupazione espressa da costoro – dannatamente fondata, a mio avviso – è che l’invio di altre truppe proprio nelle aree di etnia Pashtun dell’Afghanista meridionale non farebbe che accendere nella popolazione locale una spinta ad appoggiare i talebani nella resistenza contro gli invasori infedeli – ritengono, insomma, che si assisterebbe a una riedizione di ciò che avvenne negli anni Ottanta, solo che stavolta ci sarebbero gli Stati Uniti al posto dei sovietici".
Nicholas Kristof, NYT, 5 settembre 2009

"Non stiamo solo incrementando il livello delle truppe in Afghanistan. Stiamo trasformando la nostra missione, dal babysitteraggio all'adozione. Ci stiamo spostando da quella che era una missione limitata, incentrata sul fare da babysitter all'Afghanistan (prescindendo dalla miseria del suo governo) per impedire il ritorno di Al Qaeda, ad un vero e proprio progetto di "state-building [...] E questo è un impegno molto più gravoso di quello che avevamo originariamente assunto. Prima di adottare il bimbo - l'Afghanistan - dobbiamo mettere in piedi una nuova discussione nazionale su questo progetto: quanto ci costerà, quanto tempo potrebbe volerci, con quali interessi americani ciò collima, e, soprattutto, chi sarà a sovrintendere questo disegno politico? [...] Io oggi percepisco una diffusa e crescente perplessità riguardo a questa questione da parte dell'opinione pubblica americana; e procedere all'adozione di un bimbo rispetto al quale si nutrono delle perplessità è una ricetta per combinare un disastro".

"Ho trovato significativo il fatto che durante lo scorso weekend, entrambi i due principali commentatori di politica estera del New York Times’s - Tom Friedman e Nicholas Kristoff - si siano prodotti in editoriali scettici sulla guerra in Afghanistan . [...] Non sono solo gli editorialisti ad avere molteplici ripensamenti. Lo stesso sta accadendo ai vertici dei principali think tank americani di politica estera. [...] Si tratta non solo di persone che incidono sulla formazione dell'opinione delle elite, ma anche di naturali simpatizzanti di Obama. Se persino loro cominciano ad opporsi a questa guerra, avrà una bella gatta da pelare". Gideon Rachman, "solo sul suo blog", oggi 7 settembre 2009

"Fra un anno, staremo ancora disquisendo se l’Afghanistan si stia trasformando nel Vietnam di Obama oppure no. Se il presidente sarà fortunato, la questione sarà ancora aperta". Doyle McManus, Los Angeles Times, 6 settembre 2009

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