mercoledì 8 ottobre 2014

I NAZISTI DELL'ILLINOIS: UNA STORIA VERA


Elwood: "Ehi, che sta succedendo?"
Poliziotto: "Quei figli di puttana hanno vinto il processo e fanno una dimostrazione".
Elwood: "Quali figli di puttana?"
Poliziotto: "Quegli stronzi del Partito Nazista".
Elwood: "Hm! I nazisti dell'Illinois. Prrr"
Jake: "Io li odio i nazisti dell'Illinois."

Non si trattava di un parto estemporaneo della (geniale) fantasia di Dan Aykroyd e di John Landis. Nella Chicago degli anni Settanta, all’ombra di violenze politiche di ben altra portata, c'era davvero anche una piccola ma rumorosa associazione neonazi di nome National Socialist Party of America, che cercava consensi tra la popolazione bianca della città, in quei quartieri nei quali l'espansione del mega-ghetto nero del South Side generava maggiore attrito.

E la causa l'avevano vinta per davvero. Nel 1977 avevano indetto una manifestazione, una delle loro parate in “camicia marrone, pantaloni marrone scuro, stivali neri, più una fascia attorno al braccio sinistro raffigurante una svastica”. In costume nazista, insomma. Ma quella volta avevano scelto di tenerla proprio a Skokie, un sobborgo di Chicago che ospitava una delle più nutrite comunità di ebrei sopravvissuti all'Olocausto al di fuori di Israele. I residenti si erano energicamente opposti, ed il sindaco di Skokie aveva dapprima posto una serie di limitazioni sulle modalità della manifestazione, ed infine l'aveva del tutto vietata. 

"Negli Anni Sessanta" commentò il settimanale TIME "i tribunali federali invocarono i principi del Primo Emendamento per proteggere le marce per i diritti civili in alcune città del Sud che si trovavano in fiamme. Nonostante le gravi minacce di violenza, le dimostrazioni risultarono pacifiche, grazie all'intervento della polizia statale e locale che intervenne su ordine di quei tribunali. Ma a quanto pare i diritti costituzionali protetti a Selma, in Alabama, nel 1965 non possono essere garantiti nella Chicago del 1977".

E invece sì, che potevano. I nazisti dell’Illinois fecero ricorso in Tribunale, affidando la propria causa a Burton Joseph, ebreo, avvocato della Unione Americana per i Diritti Civili, che aveva difeso anche i pacifisti arrestati per i disordini alla Convention Nazionale Democratica di Chicago del 1968. Era in gioco il mitico Primo Emendamento, che in America garantisce la libertà di parola (il cosiddetto "free speech"). 

Il municipio di Skokie perse la causa, sia in primo grado che in appello; tentò infine un ricorso alla Corte Suprema, sul quale quest’ultima rifiutò di pronunciarsi per manifesta infondatezza, confermando così che la decisione adottata dai tribunali era corretta e che il diritto al “free speech” in America è talmente ampio da includere anche l'“hate speech”.
Soddisfatti di quella vittoria, i nazisti dell’Illinois a quel punto accondiscesero a tenere la loro manifestazione altrove, mentre i residenti ebrei di Skokie dettero sbocco alla propria mobilitazione creando in città un museo dell’Olocausto.

Quello storico precedente è stato evocato, più o meno implicitamente, anche dall'attuale presidente della Corte Suprema, John Roberts, quando lo scorso aprile ha motivato la sentenza con la quale la Corte ha abrogato, in quanto incompatibile con il Primo Emendamento, la parte della legge sui finanziamenti elettorali che limitava quelli più ingenti raccolti da super-comitati finanziati da miliardari: “se il Primo Emendamento tutela persino il diritto a tenere parate naziste, di certo tutela anche quello alla propaganda elettorale, anche se impopolare”.

Ci ripensavo nelle scorse ore, leggendo la notiziola del finto “nazista dell’Illinois” fermato dalla Digos a Bergamo mentre sfotteva le “Sentinelle in Piedi” che manifestavano in opposizione (alquanto pacificamente, provocando proteste in alcuni casi assai meno pacifiche) al disegno di legge contro l’omofobia. Cronache da un pianeta dove è vietato penalmente mascherarsi da nazisti (al punto tale da poter passare un guaio persino se lo si fa con intento satirico), è vietato penalmente tenere manifestazioni razziste, qualcuno vorrebbe vietare penalmente anche l’esprimere opinioni omofobe, e così via. Oltreoceano, dove sin da principio si è adottato il principio inverso (quello secondo il quale conviene lasciare che certe idee vengano espresse pubblicamente, anziché relegarle nelle catacombe), forse se la passano meglio.

Uscito su The Post Internazionale

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