martedì 24 settembre 2013

LE RUGHE DI HILLARY

Sono magicamente sparite tutte le rughe dal volto della ancora-non-ufficialmente aspirante “Madame President” Hillary Clinton, nell’immagine patinata che il settimanale New York ha appena usato per mettere in copertina la sua prima intervista dopo l’addio al Dipartimento di Stato. 
Forse anche perché, pur di darle una mano, hanno ripescato un servizio fotografico vecchio di quasi tre anni, realizzato per il magazine Harper’s Bazar.


Ma ci sono rughe che nessun trucchetto fotografico può cancellare. Poche ore dopo la presentazione della nuova copertina del NYMag, un altro settimanale di riferimento dell’America liberal, il New Republicha sparato una cover story dedicata alle gesta del factotum- braccio destro di Bill Clinton, tale Doug Band, personaggio poco noto al grande pubblico ma potentissimo; vero e proprio organizzatore dell’entourage di Bill e, soprattutto, amministratore della messa a frutto del suo potenziale finanziario ed imprenditoriale post-presidenziale. Una lettura che rinfresca la memoria su cosa fosse e sia tutt’ora il sistema di potere clintoniano: salta fuori un po’ di tutto, dagli affari con faccendieri delle peggior specie (ce n’è anche uno italianissimo), alle scorribande sessuali con amici come il magnate dei supermercati Ron Burkle (nel cui staff pare che queste avventure con Bill venissero etichettate spiritosamente “Air Fuck One”).

Ma soprattutto salta fuori che alcuni dei grandi finanziatori della Fondazione Clinton, che in teoria avrebbe scopi puramente filantropici e benefici (e ai vertici della quale siede attualmente anche la stessa Hillary), versano le loro elargizioni per comprare la prestigiosa partecipazione di Bill a determinati eventi o addirittura la sua intermediazione nella conclusione di determinati affari. Si sarebbe insomma consolidato un bizzarro business basato sullo sfruttamento commerciale della rete di relazioni acquisita dai Clinton ai tempi della Casa Bianca (con questo Doug Band nel ruolo del ruffiano), e questo sfruttamento sarebbe in buona parte veicolato dalla fondazione “non profit” (ahem) di famiglia.

Eccolo qui il problema di Hillary 2016: non un’età troppo avanzata, ma una storia troppo zeppa di cose poco nobili e difficili da nascondere. Come quelle maledette rughe.

Uscito su The Post Internazionale

mercoledì 18 settembre 2013

MAN IN THE MIRROR

“Se la vita fosse un film, Barack Obama guarderebbe nello specchio e ci vedrebbe George W. Bush. Darebbe una strofinata allo specchio, ma Bush sarebbe ancora lì, che lo guarda con quel suo sorrisetto irritante. Obama – mica scemo – ben presto capirebbe: eccolo lì, proprio come il predecessore che tanto egli aveva (giustamente) disprezzato, ad arrancare metaforicamente attraverso il deserto d’Arabia alla ricerca di armi di distruzione di massa. Solo la storia può decidere se si tratta di un film comico o tragico”.
Il Washington Post, per quanto possa trovarsi in crisi e checché ne sarà ora che è stato comprato da Jeff Bezos, è sempre il Washington Post. E del Post Richard Cohen è decisamente una firma storica: ci lavora da prima del Watergate, e ne è editorialista da quasi trent’anni. Come quasi tutte le firme del quotidiano della capitale, Cohen è un elettore democratico. Ha votato per Barack Obama sin dalle primarie del 2008. Non è mai stato un acritico supporter del presidente, intendiamoci; ma le sue critiche non si erano mai spinte ad una veemenza come quella della quale è imbevuto il corsivo uscito ieri, feroce e impietoso nel tono e nei contenuti sin dal titolo a dir poco sarcastico (“Obama è Bush 2.0, ma non è una versione più avanzata”).
In principio quello di accusare Obama di essere tale e quale al suo predecessore fu un vezzo di nicchia, una provocazione buona per una copertina ad effetto del periodico britannico di sinistra “The New Statesman”Con il tempo questa tesi è invece divenuta sempre più mainstream (in Italia ne ha tenuto una meticolosa contabilità Christian Rocca con la sua rubrica “That’s Right” ), ma negli ultimi tempi i suoi ormai numerosi sostenitori hanno aumentato il calibro in modo tutto sommato sorprendente. Questo editoriale di ieri è un perfetto esempio: Obama, sostiene Cohen, è antitetico a Bush per mentalità e personalità, ma nei fatti finisce per risultare anche lui drammaticamente sprovvisto di un piano per esercitare le leadership americana nel mondo in modo efficace. Anche lui “ha perso il controllo della sua politica estera (ammesso che ne abbia mai avuta una)”, e questo anche nel suo caso sta costando la vita a migliaia di persone. Nel suo famigerato editoriale uscito l’11 settembre sul New York Times, Vladimir Putin ha sfottuto Obama ammonendolo dal “fare come Bush” nel senso di praticare un incauto interventismo. La critica di Cohen sul Post è concettualmente antitetica ma non meno tagliente: “Il poliziotto si è rivelato un imbranato. E’ un illitterato in politica estera. Banditi e assassini hanno preso le sue misure: è risultato più piccolo di quanto era inizialmente apparso”.


Siamo solo all’inizio del secondo quadriennio di presidenza Obama: se questa è l'aria che tira, saranno anni interminabili. E manca poco più di un anno alle elezioni di mezzo termine: se questa è l'aria che tira, potrebbe essere un anno molto breve.