mercoledì 28 novembre 2012

LA CROCIATA DI MCCAIN & C. CONTRO LA RICE STA METTENDO NEI GUAI OBAMA


E così l’incontro di ieri fra Susan Rice ed il terzetto di senatori repubblicani che si oppongono alla sua nomina a Segretario di Stato, capitanato da John McCain, non è servito a creare un principio di distensione, ma anzi a gettare benzina sul fuoco

Era stata la Rice ad offrire questo incontro, e lo ha fatto con il chiaro intento di “concedere qualcosa” che potesse quanto meno ridimensionare la questione, come si è potuto notare anche dalle sue dichiarazioni all’uscita dal meeting nelle quali c’è mancato poco che si spingesse ad ammettere di aver sbagliato, come aveva chiesto McCain.

A poco a poco, quella che sino a pochi giorni fa sembrava ai più la fallimentare crociata di tre senatori in cerca di un po’ di visibilità si sta rivelando una operazione politica molto meno sprovveduta.
Lo dimostra il corsivo che il New York Times pubblica oggi a firma della popolare e caustica opinionista Maureen Dowd, la quale rivela ai lettori che la Rice, dopo la fumata nerissima di ieri, ha in agenda per oggi degli analoghi incontri con altri senatori repubblicani, i quali si stanno a vario titolo affiancando all’originario e sino a ieri isolato terzetto di McCain & C.
Tra questi il senatore del Tennessee Bob Corker, il quale, giusto per chiarire la propria visione in vista dell’incontro, ha già dichiarato alla stampa di ritenere Rice più adatta a presiedere il Partito Democratico che il Dipartimento di Stato (come dire che ha dimostrato di avere troppo a cuore gli interessi della sua fazione politica e troppo poco quelli del Paese).
Ma la gran parte del pezzo della Dowd è dedicato ai quesiti che oggi la Rice si vedrà formulare dalla senatrice Susan Collins del Maine, esponente di spicco della commissione sulla sicurezza nazionale, nota per essere una moderata e di aver in passato intrattenuto relazioni per nulla ostili nei confronti della Rice (la cui famiglia originaria proprio del Maine, dove i suoi nonni immigrarono dalla Giamaica). Eppure, anche dalla Collins viene una accusa di eccessiva politicizzazione: “se fossi un aspirante Segretario di Stato mi guarderei dall’andare in televisione a recitare quello che in buona sostanza è stato un ruolo politico”. Il senso della lista di domande che la Collins intende porre oggi alla Rice è quindi il seguente: la ambasciatrice americana all’ONU all’indomani dei fatti di Bengasi tentò di “edulcorare” la premeditazione terroristica perché fu indotta in errore dalle informative di alcune branche dell’intelligence, o perché la Casa Bianca pensò che in piena campagna elettorale “ammettere che si trattava di un attentato di Al Qaeda avrebbe distrutto la narrativa secondo la quale la Libia era la storia di un grande successo"?

E come se non bastasse la Dowd ci mette del suo, rivolgendosi al lettore medio del New York Times presumibilmente incline a pensare che le critiche dei senatori repubblicani siano solo il frutto di cinica faziosità: anche se fosse, osserva, “se la Rice non riesce a tener testa a qualche molesto politico repubblicano, come potrebbe mai negoziare con la Cina?”

Beninteso: la campagna contro la nomina della Rice continua a non avere i numeri per un efficace ostruzionismo che la renda tecnicamente impossibile: nessuno oggi scommetterebbe sulla eventualità che i Democratici non riescano a racimolare i cinque voti repubblicani da aggiungere a quelli dei propri 55 senatori. Quindi, dove sperano di arrivare McCain e i suoi, e perché la Rice comincia a dare segni di cedimento come se fosse lei, e non i suoi accusatori, ad essere in cerca di una mossa per uscire dall’angolo?
La risposta a questo quesito risiede in quanto dichiarato sabato mattina da John McCain in una intervista televisiva: “il problema non è la Rice, è il presidente Obama”. Illuminante in questo senso un altro corsivista del New York Times, Stanley Fish, il quale ieri sul sito del quotidiano liberal ha lanciato un grido di allarme rispetto alla efficacia della trappola che i senatori repubblicani stanno facendo scattare non contro la Rice, ma contro Obama. Secondo Fish i repubblicani avrebbero infatti messo a segno una win-win strategy, un gioco dal quale usciranno vincitori in ogni caso. Se Obama non era realmente intenzionato a nominare la Rice al Dipartimento di Stato, a questo punto è costretto a comportarsi come se lo fosse stato, altrimenti sembrerà aver calato le braghe. Se lo fosse stato realmente, non può comunque mollare, sempre per la stessa ragione: l’ala sinistra del partito democratico si infurierebbe e lui passerebbe per un vile opportunista. E’ quindi costretto a tenere il punto, ma nel farlo dovrà inaugurare il suo secondo mandato con una spiacevolissima, lunga ed imbarazzante rissa, dalla quale nella migliore delle ipotesi uscirà con la nomina di un Segretario di Stato indebolito e screditato. I repubblicani sono quindi riusciti a spingere il presidente in un vicolo cieco, scrive Fish, “a meno che Hillary non lo salvi annunciando di averci ripensato e di voler rimanere a capo del Dipartimento di Stato”.
Ma Hillary, pare, ha altri programmi.


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