mercoledì 23 maggio 2012

BARACK OBAMA E LE IMBARAZZANTI PRIMARIE DEMOCRATICHE

Forse non tutti, in Italia, sanno che dove il sistema delle primarie funziona davvero, come negli USA, esso impone che la votazione si tenga sempre e comunque, ogni volta che deve essere formalizzata una candidatura: persino per ricandidare un presidente uscente. Che alle presidenziali di novembre il candidato democratico sarà Obama, è naturalmente del tutto scontato ed ovvio; ma ciò non toglie che, per rispetto delle regole, la sua candidatura non gli venga elargita di diritto, nè per acclamazione. Persino il presidente in carica deve passare attraverso la procedura delle primarie (e dei caucus). 

Va da sè che solitamente alle primarie nelle quali è in lizza un presidente in carica non si presenti alcun avversario di un certo peso, ma tutt'al più qualche "disturbatore" più o meno insignificante. Non è però un fatto del tutto scontato: dal secondo dopoguerra ad oggi ci sono stati cinqute casi di "autentica" sfida nelle primarie contro un presidente in carica. E' accaduto Harry Truman, l'ultimo presidente che avrebbe potuto aspirare ad un terzo mandato prima che entrasse in vigore l'emendamento costituzionale che ora lo vieta, il quale ritirò la propria candidatura dopo che il senatore del Tennessee Estes Kefauver gli ebbe inflitto una umiliante sconfitta nelle primarie del New Hampshire; è successo poi ad un altro presidente democratico, Lyndon Johnson, che nel 1968 venne sfidato alle primarie prima Eugene McCarthy e poi da Bobby Kennedy (Johnson avrebbe poi ritirato la propria candidatura adducendo a giustificazione l'assunzione di responsabilità per il pessimo andamento della guarra in Vietnam - in realtà stava emergendo la competitività di Bobby Kennedy, che però venne assassinato proprio il giorno delle primarie in California); è toccato pure a Gerald Ford, che nel 1976 per chiedere il suo primo mandato da presidente eletto (in quanto vicepresidente, era divenuto presidente per subentro a Nixon, dimissionario per via dello scandalo Watergate) faticò a conquistarsi la candidatura nelle primarie repubblicane contro l’allora governatore della California Ronald Reagan, il quale riuscì invece ad ottenerla quattro anni dopo, nel 1980, quando nell'elezione generale battè Jimmy Carter; e quest'ultimo a sua volta, pur essendo presidente, nel 1980 aveva dovuto sudarsi la ricandidatura scontrandosi, nelle primarie democratiche, sia contro il senatore Ted Kennedy sia contro il governatore della California Jerry Brown. L'ultimo caso risale a vent'anni fa: è quello di George Bush padre, che venne ricandidato (per poi essere battuto da Bill Clinton) solo dopo essere stato sfidato da destra, nelle primarie repubblicane, da Pat Buchanan, un opinionista conservatore che era stato uno dei più influenti consiglieri di Nixon negli anni Sessanta ed aveva diretto l’ufficio stampa della Casa Bianca durante la seconda amministrazione Reagan.
Ad Obama questa impresa è stata risparmiata: nessun "vero" sfidante ha osato mettere in discussione la sua ricandidatura, e le primarie presidenziali democratiche si stanno svolgendo, da mesi, nell'indifferenza generale. Proprio per questo, però, ci si aspetterebbe che la sua vittoria in queste votazioni "pro forma" avvenga sempre con maggioranze "bulgare", poco inferiori all'unanimità; e invece, a quanto pare, non è sempre così.

Due settimane fa aveva fatto scalpore l'umiliazione inflitta al presidente nelle primarie del West Virginia da tal Keith Judd, uno sconosciuto galeotto texano che, pur essendo tutt'ora detenuto, si era candidato contro Obama tanto per ammazzare il tempo, ed ha ottenuto un clamoroso 41%, lascinado al presidente un imbarazzante 59%.
Ieri la faccenda si è ripetuta con la 34esima e 35esima primaria democratica, in Kentucky e in Arkansas: la vittoria del presidente è stata infatti altrettanto modesta. In Arkansas, lo Stato di Bill Clinton, Obama aveva come avversario John Wolfe, un avvocato del Tennessee suo ex sostenitore, il quale aveva vanamente tentato di farsi eleggere al congresso per ben quattro volte (non si può dire che gli manchi la perseveranza), e quest'anno ha deciso di candidarsi alle primarie presidenziali per protesta "contro lo strapotere di Wall Street", ha già partecipato alle primarie in Louisiana, Missouri e New Hampshire, e parteciperà anche a quelle del Texas martedì prossimo. Il risultato è stato esattamente lo stesso che si era visto in West Virginia: Obama 59%, "Non-Obama" 41.
In Kentucky lo smacco è ancora più bruciante perché lì Obama non aveva avversari, e non doveva far altro che raccogliere per inerzia una vittoria "a tavolino". lo ha fatto ovviamente, ma con una percentuale di appena il 57,9%, mentre il 41,2% è stato "uncommitted" (un equivalente della nostra "scheda bianca"). Come dire: persino se come alternativa ad Obama non si presenta nessuno, poco meno della metà dei votanti, piuttosto che votare per lui, preferisce votare per "Nessuno".  
Tanto per avere l'idea di quanto questi dati siano imbarazzanti per il presidente, si consideri che nelle parallele primarie repubblicane ieri Mitt Romney ha vinto con il 68,2% in Arkansas e con il 67,7 in Kentucky, pur avendo contro un residuo "vero" antagonista, Ron Paul. 

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