martedì 13 settembre 2011

IL DUELLO - PARTE SECONDA


Molti dicono che stavolta ha vinto Perry, per svariati altri Romney si e' confermato il più bravo; la verita' e' che l'unita' di misura dell'esito di un dibattito elettorale - e questi delle primarie repubblicane non fanno eccezione - sono i sondaggi che escono poi. Quindi ciò che sappiamo davvero è chi ha vinto il precedente, quello californiano. Ce lo ha detto ieri la stessa CNN, divulgando un sondaggio che vede Perry saldamente in testa con il 32%, Romney staccatissimo al 21, Ron Paul al 12 e tutti gli altri - Bachmann compresa - sotto il 10.

Quello svoltosi ieri a Tampa, in Florida, sede della convention repubblicana dell'anno prossimo, targato CNN + Tea Party Express, per ora ci ha dato una netta conferma del fatto che i veri contendenti sono solo due, Perry e Romney.
Tutti gli altri sono sempre più miniaturizzati, da Herman Cain che pare sempre più intento a portare avanti "la sua candidatura a ministro del commercio" (Mark McKinnon) a Newt Gingrich "rimasto in gara solo per vendere libri", e alla stessa Bachmann "svuotata di argomenti dalla scesa in campo di Perry" (Andrea Salvadore). Per non parlare della improbabile candidatura di Jon Huntsman, ridotta ormai a puro cazzeggio (l'ex ambasciatore riesce a risultare élitario persino quando fa il rockettaro: non so quanti abbiano potuto cogliere il senso del suo sfottò a Romney quando si è chiesto se il suo libro-manifesto sia stato scritto da Kurt Cobain perché si intitola "No Apology" - oltretutto ha toppato pure lì, perché in realtà il pezzo dei Nirvana si intitolava "All Apologies").

A questo punto, consolidato l'assetto "Romney contro Perry" con il governatore del Texas indiscusso frontrunner, la vera incognita e' se il duello combacerà con lo scontro in atto da tempo tra il vecchio establishment repubblicano e la base incazzata tè-pubblicana.
Ieri mattina si sarebbe detto di sì, allorché Tim Pawlenty, la cui candidatura era sulla carta la migliore sulla quale l'estabilishment potesse contare ma non è mai decollata e si è conclusa ad agosto con lo straw poll in Iowa, ha dato il suo endorsement a Romney, ricevendo prontamente i galloni di co-chairman della sua campagna.
La mossa è stata subito letta come un sintomo della convergenza su Romney della élite del partito;  ma il quadro non è così semplice, perché a stretto giro Perry ha rilanciato sfoderando -  a distanza ancora più ravvicinata dall'inizio del dibattito - l'endorsement di Bobby Jindal.

Vale la pena di approfondire. Eletto per la prima volta nel 2007, allorché gli elettori di quello Stato ritennero il governatore democratico uscente responsabile del fallimento della gestione dei disastri causati dall’uragano Katrina almeno tanto quanto l’amministrazione federale di Bush, Jindal è il primo governatore "non-bianco" della Louisiana dai tempi della Ricorstruzione dopo la Guerra Civile (c'è il precedente di un governatore afroamericano nel 1872, ma per appena 35 giorni). Jindal è di origini indiane (dell'India, non d’America), essendo nato da una immigrata indiana che si era appena trasferita negli USA assieme al marito, un ingegnere del Punjab, per laurearsi in fisica nucleare: è quindi un tipico esponente della comunità di immigrati indo-americani che negli USA sta divenendo sempre più integrata, benestante ed influente (e rimane per lo più orientata a votare per i Democratici, come quasi sempre avviene per le minoranze). E' molto giovane (40 anni tondi), e pur essendo figlio di genitori di religione induista si è convertito al cattolicesimo ai tempi del liceo.
 Soprattutto, ha dalla sua un curriculum d'eccellenza in materia di finanza pubblica con particolari competenze in materia di assistenza sanitaria: ad appena 24 anni (!) fu a capo del Louisiana Department of Health and Hospitals, e nel 2001, 30enne, fu nominato da  Bush sottosegretario al Ministero della Salute e messo a lavorare alla Commissione Breaux-Thomas che studiava una riforma del “Medicare”.
Alle presidenziali del 2008, prima che dal cilindro del prestigiatore saltasse fuori a sopresa l'allora semisconosciuta Sarah Palin, Jindal era nella shortlist dei papabili come vice accanto a John McCain, non solo per le sue competenze di cui sopra ma anche in quanto esponente di quel mondo di “nuovi americani”, o forse addirittura di “nuovi occidentali”, che per molti versi si presta a rappresentare “il futuro” del nostro mondo almeno quanto il “vecchio bianco veterano delle guerre del secolo passato” McCain rappresentava fieramente “la Storia”.
Negli anni più recenti Jindal è stato coccolato dal partito come potenziale anti-Obama, ma si è fatto anche notare come personaggio critico verso i vecchi potentati del GOP, una sorta di "rottamatore" d'oltreoceano; la sua visibilità si è ulteriormente accresciuta perché è stato alla testa dei governatori repubblicani che hanno "tenuto fuori" il più possibile gli Stati da loro amministrati dall'attuazione della riforma sanitaria voluta da Obama, e  la sua voce è stata una delle più applaudite tra le molte che hanno duramente criticato l'Obamacare. Trattandosi di uno dei cavalli di battaglia dell'attuale rimonta repubblicana, e di uno dei talloni d'achille di Romney, il peso della sua adesione alla candidatura di Perry è più che evidente.
Non dimentichiamo che Perry è anche a capo della RGA, l'associazione dei governatori repubblicani: potrebbe avere in serbo altri assi nella manica come questo.


Prossimo appuntamento sempre in Florida, ad Orlando, il prossimo 22 settembre - dibattito organizzato da Fox News.
Stay tuned!

1 commento: