venerdì 29 aprile 2011

IL MONDO LIBERO NON E' UNA CARRIOLA

L’articolo della settimana è stato un lunghissimo e a tratti brillante pezzone sull’ultimo numero del New Yorker, dal titolo “Il Conseguenzialista”, nel quale Ryan Lizza ha spiegato che sotto la pressione delle rivolte nordafricane “forse Obama sta gradualmente avvicinandosi a qualcosa di simile ad una dottrina. Uno dei suoi consulenti ha descritto le azioni del Presidente in Libia come “leading from behind” (“guidare stando dietro”)”. Muovendo dal presupposto che “la potenza americana è in declino e quella di rivali come la Cina è in ascesa”, e che “in molte parti del mondo gli USA sono malvisti”, si dovrebbe ritenere necessario perseguire gli interessi nazionali e diffondere gli ideali americani “agendo furtivamente e con modestia”.
L'espressione "guidare stando dietro" (la cui paternità, gli addetti ai lavori lo sanno bene, appartiene alla bocca e alla testa di Nelson Mandela) ha scatenato una ridda di polemiche. Sono subito piovute aspre critiche soprattutto da commentatori neoconservatori: ad esempio John Podhoretz, che su Commentary ha scritto che la formula “leading from behind” è talmente screditante che non sarebbe sorprendente “se la casa Bianca si mettesse alla caccia della presona che l’ha pronunciata per defenestrarla prima che faccia altri colossali danni alle chance di rielezione del suo capo”; o Kori Shacke della Hoover Institution, che su Foreign Policy ha commentato: “chiedete a un giovane marine, e vi dirà che un leader che si tiene nelle retrovie non è altro che un codardo, perché lascia che siano i suoi uomini a correre i rischi cui il comandante non è disposto ad esporsi”… Schacke cita ad esempio l’impopolarità di Hillary Clinton tra i ribelli del Cairo (di cui l’articolo di Lizza da ampiamente atto), imputandola al fatto che dopo aver sostenuto Mubarak quando la rivolta era in corso, il Segretario di Stato ha poi spudoratamente cercato di metterci sopra il cappello facendosi un giretto in Piazza Tahrir a cose fatte. Sarebbe insomma un pacchiano e quindi controproducente tentativo di fare la mosca cocchiera, o di farsi belli con le penne del pavone (le due metafore di Fedro ovviamente sono una mia aggiunta, non credo che agli americani siano familiari me se lo fossero sospetto che le avrebbero usate).
Ryan Lizza ha ritenuto di dare maggiori spiegazioni nel blog collettivo della rivista:
al cuore dell’idea di “leading from behind” c’è il mettere altri al comando ma per portare avanti la trattativa che sta a cuore a te, oppure, come nel caso della Libia, per usarli come copertura per intraprendere una politica che risulterebbe sospetta agli occhi di altre nazioni se portasse il marchio di un’operazione puramente e semplicemente americana”. E intervistato in “chat” sempre sul sito del NewYorker, ha precisato di aver usato nel titolo il neologismo “conseguenzialista” nel senso che ad Obama “stanno molto più a cuore gli effetti che non i mezzi per realizzarli”.

Oggi su Europa Marilisa Palumbo intervista Lizza, e nonostante il titolo sulla "dottrina flessibile" (aehm), la lettura è consigliabile: alla cruciale domanda "a distanza di quattro mesi dall’inizio delle rivolte, l’amministrazione ha o sta definendo una strategia onnicomprensiva per il Medio Oriente?", l'intervistato risponde "credo siano decisi a trattare ciascun paese come un caso a sé" - cioé: no.
Sempre oggi, Charles Krauthammer sul Washingotn Post osserva che quello descritto da Lizza “è uno stile, non una dottrina”, perché una dottrina implica idee e qui non ce n’è traccia, e comunque fa presente che se al tempo della Guerra Fredda ci si fosse fatti intimidire dal diffuso antiamericanismo, chissà come sarebbe andata a finire.
Le chiacchiere stanno a zero: la "Dottrina Obama" non-e-si-ste.

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