giovedì 14 ottobre 2010

IL GENIO INCOMPRESO


Volge al termine il primo biennio della presidenza Obama – ossia quello “facile”, prima delle fatidiche elezioni di midterm che, come quasi sempre accade, sposteranno in favore dell’opposizione gli equilibri del Congresso.
Il New York Times Magazine propone un bilancio con un articolone di Peter Baker costruito intervistando lungamente il presidente, ma anche moltissimi membri del suo staff.
Nonostante Obama si sforzi di ostentare ottimismo e rivendicare “le tante cose importanti già realizzate” (il 70% del programma, a suo dire), ammettendo solo (con un piglio che a noi provinciali potrebbe risultare vagamente berlusconiano) di non essere riuscito a valorizzarle abbastanza agli occhi dell'opinione pubblica, ne esce una fotografia dalle tinte decisamente cupe:

[il presidente] si ritrova vilipeso dalla destra, punito dalla sinistra ed abbandonato dal centro. Si trova ad affrontare l’ultima fase della campagna elettorale per le elezioni di mezzo termine come una sorta di ripudio da parte degli elettori.
[…]
Ciò che colpisce dell’auto-diagnosi di Obama è che perfino secondo la sua interpretazione, il personaggio del 2008 che era fonte di ispirazione ha in realtà perso egli stesso l’ispirazione dopo essere stato eletto. Non si è mantenuto in contatto con quella stessa gente che lo aveva scelto. E’ invece ben presto riuscito a scontentare, allo stesso tempo, sia quelli che lo consideravano l’incarnazione di un nuovo movimento progressista, sia quelli che si aspettavano che fosse capace di scavalcare gli schieramenti di parte e portare il paese in una nuova stagione “postpartisan”.
[…]
Alcuni addetti della Casa Bianca che due anni fa erano pronti a scavare un nuovo posto sul monte Rushmore per la faccia del loro capo, adesso in privato ammettono che in realtà Obama non può essere un nuovo Abramo Lincoln. […] “Non dico che noi stessi credessimo ai nostri comunicati stampa, ma senza dubbio all’inizio c’era fra noi la sensazione che fossimo realmente in grado di cambiare Washington”, mi ha detto un funzionario della Casa Bianca. “Arroganza non è il termine giusto, ma diciamo che ci siamo sopravvalutati”.
[…]
I consulenti di Obama che hanno recentemente lasciato la Casa Bianca sono rimasti molto colpiti da quanto le cose “viste da fuori” apparissero diverse, e peggiori. […] Dopo aver laciato il proprio posto di direttore del budget della Casa Bianca, Peter Orzag è rimasto sbalordito nello scoprire quanto profondo fosse divenuto l’abisso tra il presidente ed il mondo delle imprese. […]
L’isolamento è una maledizione che colpisce tutti i presidenti, ma Obama, più di ogni altro presidente dai tempi di Jimmy Carter, si è rivelato una persona introversa, uno che vive come un’esperienza estenuante il contatto con gruppi di persone estranee al suo ristretto circolo. Sa come arringare uno stadio di 80mila persone, ma quel tipo di pubblico è un monolite impersonale; incontri con gruppi ristretti possono invece metterlo in seria difficoltà. […] Mentre [Bill] Clinton era uno che telefonava a tarda notte in giro per Washington per dispensare o chiedere consigli, Obama raramente si spinge al di là del ristretto gruppo dei suoi consulenti […] e dei suoi amici personali. “E’ oscuro perfino per noi” mi ha detto un suo assistente. “Eccezion fatta, forse, che per poche persone della sua ristretta cerchia, è un libro chiuso”. In parte per ragioni di sicurezza, l’indirizzo emaild el suo BlackBerry ce l’hanno in tutto 15 persone.
[…]
Obama chiede di pazientare in un’epoca di impazienza. Un parlamentare democratico di primo piano mi ha detto che il problema di Obama è che non conosce l’incertezza – ritiene sempre di essere la persona più intelligente nella stanza, in qualunque stanza si trovi; e non prova mai quel panico che assale costantemente un buon politico, costringendolo a corteggiare freneticamente i parlamentari, i poteri forti, gli avversari e gli elettori, come se si fosse sempre ad una settimana dalle prossime elezioni. Quello che invece si sente continuamente dire agli assistenti di Obama è che il sistema “non è all’altezza”. È una frase che si sente pronunciare continuamente alla West Wing: “non è all’altezza”.

Nessuna rivelazione particolarmente choccante, ma è la prima volta che capita di leggere sul principale quotidiano USA una valutazione dal tenore tanto definitivo.

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